Il Messaggero, 13 ottobre 2018
Intervista a Marco Giallini: «Non sogno Hollywood»
Sul cellulare la foto del cantautore francese Etienne Daho, il suo idolo, tra le dita l’eterna sigaretta. Nell’anima e sul viso gioie, dolori, ricordi che gli regalano quell’autenticità mai addomesticata e sempre pronta ad essere trasferita nei suoi personaggi: «Rocco Schiavone sono io, l’unica differenza con lui è che non mi faccio le canne», dice Marco Giallini, tornato nei panni del poliziotto fuori degli schemi creato dallo scrittore Antonio Manzini. Romano e cinico, è maleducato, abituato a fumare marijuana e a prendere a sberle i sospettati, finisce nel mirino dei superiori, si circonda di avanzi di galera. Insomma, risulta più scorretto che mai nella tv che ha fatto fortuna e ascolti sull’esaltazione buonista degli uomini in divisa. Ma c’è chi va controcorrente: la seconda stagione della serie Rocco Schiavone, tratta dai romanzi 7-7-2007 e Pulvis e Umbra (Sellerio), regia di Giulio Manfredonia, andrà in onda su Rai2 in quattro serate da mercoledi 17 ottobre. Giallini, Giallo per gli amici, 55 anni vissuti di corsa, vedovo come il suo sbirro tv, due figli e tre moto, nella prima puntata della fiction è ancora in punizione ad Aosta e indaga sull’omicidio di due giovani finiti in un grande giro di spaccio. E, nel corso di alcuni flashback, rivive a Roma l’appassionata storia d’amore con la moglie (interpretata da Isabella Ragonese) uccisa in un attentato destinato ad eliminare proprio lui.
È cambiato il personaggio, rispetto alla prima stagione?
«No, è sempre lo stesso. Sembra scritto per me che adoro i film noir. Il mio sogno proibito non è lavorare a Hollywood, ma interpretare un polar francese. Non so che darei per essere diretto dal regista Olivier Marchal».
Il primo Rocco Schiavone suscitò le proteste dei poliziotti e di qualche politico: le è dispiaciuto?
«No, ognuno è libero di esprimere il proprio punto di vista. Noi siamo andati avanti senza cambiare».
Si sente fuori dagli schemi anche lei?
«Accidenti. Sono abituato a dire quello che penso. E anche se ho la faccia di uno che se ne frega, spesso soffro».
Cosa la fa star male?
«L’ignoranza. In giro ce n’è tanta e nessuno insegna più le regole della vita e della convivenza».
Lei cosa insegna ai suoi figli, Rocco di 20 e Diego di 13? «Non sono mai salito in cattedra. Vivo davanti a loro. Li abbraccio tanto, mi sembra la migliore delle lezioni».
E lavora tanto: sta girando Domani è un altro giorno di Simone Spada, ha appena finito Non ci resta che il crimine di Massimiliano Bruno e Il grande salto di Giorgio Tirabassi, farà Villetta con ospiti di Ivano De Matteo. Non saranno troppi film?
«Quando mi dicono fermati rispondo: chi si è fermato ha fatto poi una fatica pazzesca a riprendersi la carriera. Voglio morire sulla cresta dell’onda».
Andiamo, non parlerà sul serio.
«No, ma sul set sto benissimo. Odio le vacanze, inventate per tenere buono il popolo».
Segue la politica?
«Non più. L’ho seguita finché c’erano delle belle teste pensanti. Ammiravo Marco Pannella».
Cosa la spinge a scegliere un lavoro?
«Le persone. Mi interessa più l’ambiente umano che il soggetto del film. Meglio una commedia leggera di un dramma impegnato se sul set rischio di rompermi le scatole».
Cosa gliele rompe di più?
«I film troppo lunghi e intellettualistici, per esempio. Come The Woman Who Left del filippino Lav Diaz, che vidi con grande sofferenza a Venezia: con tutto il rispetto per il regista Leone d’oro, si può fare un film in bianco e nero che dura quattro ore?».
Pensa di essere invidiato per il suo successo?
«Non lo so e non me ne frega nulla».
Abita ancora alla periferia di Roma: non sogna di trasferirsi al centro?
«No, dove sto mi trovo benissimo e conosco tutti. Perché mai dovrei andare in un quartiere dove nessuno ti saluta?».
Se avesse un problema, si fiderebbe di un poliziotto come Schiavone?
«Si. Con lui andrei liscio. Perché mi somiglia».