Il Messaggero, 13 ottobre 2018
Un ricordo di Benedetto Croce
È stato il nostro filosofo più grande, o comunque il più noto. L’Italia, passata dal Rinascimento alla modernità senza transitare per la Riforma, non ha mai amato la sistematica speculativa, e le figure di Rosmini e di Vico non possono paragonarsi a quelle degli idealisti tedeschi, degli illuministi francesi o dei pragmatisti anglosassoni. L’unica luce è stata la sua, ma fu una luce abbagliante: Benedetto Croce è oggi considerato tra i maggiori, e per molti il maggiore, dei pensatori del ventesimo secolo. Un onore che l’Italia, come spesso accade per i suoi figli, tende a dimenticare.
LE ORIGINI
Era nato a Pescasseroli il 25 Febbraio 1866. Era di famiglia borghese, ricca e devota. Nel terremoto di Casamicciola del 1883 perse i genitori e una sorella; lui stesso rimase sepolto per ore sotto le macerie, ma alla fine fu tratto in salvo. Non mostrò rancore verso un destino così crudele, né gratitudine per il miracolo di essersela cavata. Approfittò della sua cospicua eredità per affrancarsi dai bisogni ordinari. Si iscrisse all’università, ma non si laureò mai. La sua passione era lo studio: nel leggere, e nello scrivere, fu un vulcano in continua, crescente placida eruzione. Studiò Marx, depurò la sua dialettica della componente materialistica e tornò all’originale: l’idealismo di Hegel, al quale, pur con sostanziali deviazioni, rimase sempre fedele.
Si concentrò sull’estetica. La sua definizione dell’arte come Intuizione lirica è di una concisione e di un effetto tacitiani. Passò alla filosofia teorica e allo studio della Storia. Il mondo ne riconobbe la genialità. Collingwood ne tradusse vari scritti, e Time gli dedico una copertina. La sua autorevolezza era tale che il fascismo non osò perseguitarlo, nonostante avesse redatto, per primo, un manifesto contro il regime. Caduto Mussolini, entrò nei primi governi unitari, rappresentando quel Partito Liberale che aveva contribuito a fondare. Quando mori, quasi novantenne, era già diventato un mito internazionale.
SPIRITO E STORIA
In effetti, il suo sforzo speculativo era stato straordinario. Considerava la realtà essenzialmente come Spirito, che si realizza nella Storia attraverso distinzioni nell’unità: espressione che può sembrare ambiguamente morotea, ma che rivela una verità evidente: che ogni entità e ogni valore assumono significato attraverso l’opposizione dei loro contrari: il confronto tra il bello e il brutto, il giusto e l’ingiusto ecc. Naturalmente era sempre Hegel. Ma Croce lo adattò a tutte le manifestazioni delle nostre energie creative, a cominciare dall’arte, sintesi di sentimento e razionalità. I suoi saggi su Shakespeare, Corneille e Goethe, esprimono la sua competenza sovrana nella critica letteraria. Lo stesso fece con le altre discipline. La sua Storia d’Europa del secolo XIX condizionò a lungo il mondo accademico, e i suoi scritti di economia furono fondamentali nel confronto tra liberalismo e liberismo. Ma se la sua passione istintiva fu l’estetica, quella predominate fu la filosofia teorico-pratica. Non era facile da capire, sopratutto in un paese come il nostro dove non c’era via di mezzo tra la devozione cattolica e l’indifferenza materialista. Croce era uno spiritualista che ripudiava l’immortalità dell’anima, un cristiano che non credeva nella divinità di Gesù, un agnostico che abbandonava Dio per raccogliersi nella identità dello Spirito unversale. Per un tedesco era materia quotidiana. Per noi, un po’ meno.
I SAGGI
Leggendo i suoi saggi noi confessiamo umilmente la nostra insufficienza. Il suo incedere discorsivo è potente e tortuoso, come se il pensiero volesse chiarire a se stesso il suo concetto in un dispiegamento dialettico senza fine. Una volta completata la lettura, riflettendo, esausti, sul suo contenuto, comprendiamo le perplessità dei critici che vi videro astrattezze e contraddizioni. Ma questo è un difetto di tutti i filosofi della storia, che tendono a deformare il passato in un sillogismo che si adatti ai loro pregiudizi. L’idea che una singola mente umana possa comprendere il mistero dei nostri comportamenti millenari è una vana aspirazione speculativa. È già abbastanza se riusciamo capire quello che è avvenuto ieri, o quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi: figuriamoci se riusciamo a comprendere, e riassumere in una sintesi ideale, le cose dei tempi andati. Le verità storiche, come diceva Voltaire, non sono che delle probabilità.
SCETTICISMO
Quanto alla sua Filosofia dello spirito, l’apporto di Croce è un tentativo di ricondurre a uno storicismo assoluto la nota affermazione di Hegel, che ciò che è reale è razionale e viceversa. Qui ci fermiamo, per non annichilire il lettore con divagazioni teoretiche, non senza aver osservato che ogni filosofo che tenti di dare un’interpretazione del mondo contraddice le affermazioni di cento suoi colleghi altrettanto illustri, arrivati a conclusioni diametralmente opposte. E poiché, se una sola teoria fosse vera, tutte le altre dovrebbero essere false, le probabilità che la visione di Croce (e di Hegel) sia corretta sono estremamente esigue. Dobbiamo quindi consegnarci a uno sterile e rassegnato scetticismo, e inserire il nostro più importante pensatore tra quei geni che hanno posseduto ogni forma di saggezza tranne il senso comune? Niente affatto. Perché ogni filosofo, nel suo sforzo di ridurre a sintesi e unità la complessità dell’esistenza, porta un piccolo ma significativo contributo alla ricerca della Verità, o almeno alla nostra riflessione. E il contributo di Croce alla nostra cultura è stato enorme, e ancor più grande lo sarebbe in futuro ogni qualvolta le ragioni della Libertà fossero minacciate dal fanatismo e dall’ignoranza. Perché la lezione di Croce non si esaurisce nello sforzo di definire secondo logica le vicende dello spirito umano: essa procede oltre, con un indirizzo etico che vincola ognuno di noi ai propri doveri di creature pensanti.
IL VALORE
Anteponendo la Libertà ad ogni altro valore, ed anzi elevandola al rango di elemento propulsore della Storia, Croce ci ha tramandato un messaggio di inesauribile vigore, che converte in impegno civile i nostri stessi diritti naturali. Leggendo le sue pagine, e accettando sottomessi il loro dono di oscurità, cogliamo quell’incitamento allo studio operoso rivolto al miglioramento delle nostre qualità intellettuali e morali, in vista di una società più matura, più consapevole e quindi più giusta. Un’impresa tanto più nobile quanto più è lunga e costellata di delusioni, di sconfitte e di dolori. In fondo, lo stesso insegnamento di Tucidide, che la felicità è libertà, e la libertà è coraggio.