Corriere della Sera, 12 ottobre 2018
Rivive la regina erotica di Lubitsch
Un Lubitsch mai visto è uno dei tanti regali di questa trentasettesima edizione delle Giornate del cinema muto di Pordenone.
Forbidden Paradise (1924), che in Italia uscì col titolo La Czarina, era uno di quei film di cui si parlava per allusioni o interposta persona: si conosceva la trama – le avventure erotiche della regina di un immaginario stato europeo – ma ci si doveva accontentare di vedere solo quello che era rimasto, più o meno due terzi dell’originale. Fino a quando il Museum of Modern Art con il sostegno della fondazione di George Lucas ha recuperato due copie (incomplete) che, messe a confronto con alcuni negativi (lacunosi anche loro), hanno permesso di ritrovare la quasi integralità del film, che sarà presentato in prima mondiale questa sera a Pordenone alla presenza della figlia del regista, Nicola Lubitsch.
Mescolando abilmente passato e presente (l’ambientazione sembra quella tipica del Settecento più favolistico ma all’improvviso entra in campo un’automobile), kitsch e satira politica (i rivoluzionari non sai se sono più comici o minacciosi), il film ribalta lo schema del maschio conquistatore attribuendone tutte le caratteristiche a una donna che non si preoccupa nemmeno delle apparenze e per conquistare l’ufficiale su cui ha messo gli occhi «esilia» la fidanzata senza un attimo di compassione. Salvo naturalmente redimersi nel finale (anche perché ha messo gli occhi su un’altra preda).
È proprio vero: Lubitsch non delude mai, in questo caso anche per merito di una serie di scoppiettanti gag che ora si possono finalmente gustare nella loro forma originale, dal taglio di capelli «alla maschietta» della sovrana che fa piangere le tradizionalissime dame di corte al mal di schiena del ciambellano (Adolphe Menjou) costretto a spiare sempre dal buco della serratura e preoccupato per le finanze dello stato (mette mano al portafoglio per tacitare chi vuol fare la rivoluzione: «Alla prossima – si legge in una didascalia – il regno va in bancarotta») fino alle innumerevoli porte che si aprono e si chiudono per far entrare e uscire gli amanti della regina (lei è l’affascinante Pola Negri, già al centro dei gossip hollywoodiani per la sua tumultuosa e fulminea storia con «Sciarli» Chaplin – così lo chiamava – e poi con Rodolfo Valentino). Non manca nemmeno un pesciolino che «censura» il bacio riflesso nell’acqua del giovane capitano e della sua fidanzata (e che farà ricordare ai cinefili italiani il «pesce democristiano» che, trent’anni dopo, impedirà a Totò di ammirare le grazie nude di Isa Barzizza in Fifa e arena: una citazione?).
E a proposito di «anticipazioni», quest’anno Pordenone ha messo in programma anche una serie di mini-spot pubblicitari, rigorosamente muti, che venivano proiettati al cinema negli intervalli.
La corsa al consumismo esisteva anche all’inizio del Novecento; non deve stupire che sfruttasse il neonato cinema per invitare all’acquisto: curioso invece che per lo stesso prodotto, un sapone per sgrassare, si sottolineasse l’uso «di genere», quello per gli uomini (alla fine del lavoro in fabbrica) e quello per le donne (per i lavori domestici), dividendo lo schermo in due. Dimostrando che già cent’anni fa la pubblicità anticipava il cinema nello sperimentare linguaggi nuovi se non avanguardistici.