Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2018
Rapporto dalla Baviera
FRANCOFORTE
Una catastrofe, un’umiliazione, una sconfitta storica quale peggior esito elettorale dal 1954: un misero 33%. Questi sono i coloriti pronostici per la Csu, l’Unione cristiano-sociale partito gemello della Cdu di Angela Merkel, nei sondaggi in vista delle elezioni in Baviera che si terranno domenica nelpiù ricco e più florido dei 16 Länder della Germania, fors’anche per questa sua ricchezza caduto in una crisi esistenziale della politica. Se questa percentuale dovesse essere confermata, la Csu perderebbe la maggioranza e sarebbe costretta a governare in coalizione, come già capitato dal 2008 al 2013 (in realtà una sola volta dagli anni ’50). Ma i commentatori politici tedeschi si stanno divertendo tracciando provocatoriamente uno scenario apocalittico per la Csu: un governo di coalizione tra Die Grünen, il partito dei Verdi dato come vero vincitore se prenderà il 18%, un Spd a pezzi all’11%, i malconci Liberali Fdp al 6% e un Die Linke sull’orlo della sopravvivenza al 5%, lasciando fuori l’Unione cristiano-sociale e Afd, quest’ultimo atteso al 12%, peggio delle previsioni iniziali.
La débâcle politica della Csu però non arriva come un fulmine a ciel sereno: i segni di un profondo malessere e di un crescente distacco tra i vertici del partito e la base degli elettori si sono manifestati da tempo ed ora esplodono in maniera clamorosa. E ancor più clamoroso potrebbe essere il verdetto finale, se fosse conclamata in futuro la tesi che si sta facendo strada ora per la quale sarebbe stato proprio il successo economico della Baviera a mettere in crisi la Csu.
La Baviera, che con orgoglio si definisce Stato libero Freistaat Bayern con una popolazione di circa 13 milioni (10 in Lombardia) ha una marcia in più rispetto al resto della Germania. E se ne vanta, sostenendo di essere tra i Länder che crescono di più con un Pil di 594 miliardi nel 2017 (570 a prezzi correnti nel 2016 contro i 370 della Lombardia), un Pil pro capite a 44.215 euro tra «i più alti al mondo» e il tasso di disoccupazione più basso in Germania (2,3% con le statistiche europee 3,2% con quelle tedesche), le migliori dinamiche sul mercato del lavoro con un tasso di occupazione attorno all’80% (Oberbayern uno dei cinque più alti in Europa). Con le sue 7.000 aziende nel settore manifatturiero che impiegano 1,2 milioni di lavoratori, la Baviera rappresenta il 18% sul Pil totale della Germania. Si fa vanto del suo rating “AAA” di Moody’s e S&P’s, di avere un surplus di bilancio dal 2006 e di mirare a zero debito pubblico per il 2030: attualmente ha un debito di 29 miliardi di cui 9 per il fondo di stabilità finanziaria a sostegno di Bayern Landesbank. E tutto questo con investimenti in crescita. «La Baviera è un Paese delle meraviglie», sostiene il suo premier Markus Söder, che nel tentantivo estremo di riconquistare l’elettorato Cdu con qualcosa di nuovo ha lanciato “Bavaria One”, un programma letteralmente spaziale da 700 milioni per creare un satellite bavarese, promettendo più innovazione nel campo della medicina e dell’ecologia.
La Baviera era il Land più povero dei 16 in Germania disegnati sulla cartina dagli alleati nel dopoguerra. La metà dei suoi abitanti lavorava nell’agricoltura, fioccarono sussidi, aiuti e basi militari dagli Usa. Da allora, la Baviera è il Land più ricco, tra i più industrializzati e moderni, all’avanguardia in molti campi, nell’istruzione, sede di colossi multinazionali (si veda articolo a fianco): ma la Csu evidentemente non si è evoluta al passo con il suo elettorato, che è più ricco, non vive più in campagna ma in città, con sempre più donne che lavorano. La trasformazione sociale della Baviera fa sì che i bavaresi si riconoscano sempre meno nella politica rozza e sguaiata del leader della Csu Horst Seehofer, il ministro degli Interni famoso per aver attaccato brutalmente Angela Merkel dopo l’apertura nel 2015 a circa 1 milione di rifugiati richiedenti asilo. Se è vero che una certa Germania di destra si riconosce nella lotta a oltranza contro l’immigrazione clandestina della Csu, allo stesso tempo la Baviera potrebbe dimostrare con queste elezioni che il respingimento degli immigrati che non hanno diritto a restare in Germania non deve essere venato di razzismo e tendenze filo-naziste come nel caso di Afd.
La Csu è riuscita a perdere voti a destra e a sinistra. La disaffezione va oltre l’immigrazione. Lo scontento è cresciuto con l’iniziativa dello scorso aprile del crocefisso negli edifici pubblici, perchè i cattolici bavaresi non mettono più assieme Stato e religione, come ha commentato una popolare leader dei Grünen. E non piace un partito che continua a tenere le donne e gli immigrati lontani dai vertici, segno di un’arretratezza nella quale molti bavaresi non si riconoscono. «Il gene della Csu è come quello della Coca Cola», ha sbottato Söder, come a voler celare chissà quale mix vincente. Ci crede solo lui: l’idea di portare la Csu al voto su scala federale, per prendere le distanze dai problemi della Cdu, è morta sul nascere, temendo di non prendere neanche un voto fuori dai confini della libera ma un po’ ingombrante Baviera.
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L’Italia non si classifica tra i cinque Paesi principali partners delle esportazioni in Baviera, ma è il quarto per importazioni, dopo Austria, Cina e Repubblica Ceca, prima degli Usa con beni per 12 miliardi di euro nel 2017. Il legame è forte come quello tra Italia e Germania, perchè la Baviera è sede di numerosi colossi tedeschi che complessivamente pesano per il 25% sul Dax (l’indice delle prime 30 blue chip tedesche). Hanno i quartieri generali in Baviera le multinazionali dell’auto come Audi e Bmw, ma anche Airbus e Siemens: nel marzo 1949, a causa dell’incertezza politica, da Berlino Siemens & Halske AG fu trasferita a Monaco e Siemens-Schuckertwerke AG a Erlangen, e lì rimasero. L’Audi ha rafforzato il suo legame con l’Italia, dopo l’acquisizione di Lamborghini (1998) e Italdesign Giugiaro (2010) confermando di recente, dopo un periodo di volatilità, che la Ducati non verrà venduta. In quanto alla BMW, si trova a dieci chilometri a sud di Regensburg, a Neutraubling, una città interamente costruita dai “Vertriebenen”, i cosiddetti tedeschi che vennero espulsi dalle regioni che erano della Germania Est e adesso fanno parte di Polonia e Russia.
Sul fronte della finanza, Allianz, fondata nel 1890 a Berlino e poi trasferitasi con i quartieri generali a Monaco non è un gigante (900 miliardi di assets) solo in Baviera ma anche in Italia: Allianz spa. ha circa 5500 dipendenti e fa leva su una forza vendita composta da 2.900 agenti, circa 22.000 collaboratori e oltre 1900 promotori finanziari. Ma è anche l’Italia che in Baviera ha chiuso una delle sue più grandi e ambizioseoperazioni di espansione internazionale, nel 2005 con l’ggregazione di Unicredit e HVB e la creazione della prima vera banca europea. UniCredit si è fusa con il gruppo tedesco HVB, nato nel 1998 dall’aggregazione di due banche bavaresi (BayerischeVereinsbank e Bayerische Hypotheken-und Wechsel-Bank), dando vita ad una sola, grande banca europea. Non tutte le landesbank in Baviera hanno avuto vita facile: BayernLB nel dicembre 2008 ha avuto con un’iniezione di capitale dalla Baviera pari a 10 miliardi di euro (3 miliardi nel dicembre 2008 e 7 nel primo trimestre 2009) e una garanzia a carico della Baviera sulle seconde perdite da 4,8 miliardi per agevolare la ristrutturazione del portafoglio di cartolarizzazioni, e infine 15 miliardi di garanzie sui bond dal fondo di stabilizzazione tedesco SoFFin. Sempre in Baviera è nata Roland Berger, la società di consulenza strategica che opera su scala mondiale con oltre 2.400 dipendenti in 36 Paesi: da ieri Alfredo Arpaia, senior partner, è anche amministratore delegato.di Roland Berger Italia. Un altro grande nome dell’industria in Baviera è Adidas, Adi Dassler ha registrato il marchio “Gebrüder Dassler Schuhfabrik” nel 1924 in un piccolo paesino della Baviera. E poi ancora nel 1949 Adi Dassler adidas Sportschuhfabrik a Herzogenaurach, dove ha ancora la i suoi quartieri generali oggi: Italy ha sede a Monza, impiega 500 dipendenti e conta 23 stores monomarca e 50 in franchising.