La Stampa, 12 ottobre 2018
I pesci che risalgono il Po
Compaiono all’improvviso, squarciando il muro verde di acqua torbida. Sono cefali, almeno una dozzina. Nuotano in banco risalendo la corrente. La magia della migrazione dei pesci prende forma davanti alla vetrata per monitorare i passaggi delle specie ittiche sul Po all’isola Serafini, nel Piacentino. Su questo triangolo di terra una speciale scala permette ad anguille, storioni, lasche, barbi e savette di superare la maxi-diga della centrale idroelettrica più grande d’Italia e di risalire il fiume. Ed è proprio grazie a questo ascensore ecologico che specie autoctone scomparse da decenni sono tornate a popolare il Po sopra Piacenza e i suoi principali affluenti.
Cinquant’anni di attesa
Questa storia inizia nel 1962. Il 2 dicembre, dopo cinque anni di lavori, il ministro delle Finanze Giuseppe Trabucchi inaugura la centrale dell’isola Serafini realizzata dalla Società Idroelettrica Medio Adige. «Un impianto imponente – riportano le cronache dell’epoca senza lesinare in superlativi -, destinato a fornire abbondantissima e preziosissima energia elettrica, favorendo enormemente il progresso e il benessere di tutti i territori circostanti». Ma con il progresso, arrivano gli effetti collaterali. La centrale taglia in due il Po a circa 300 chilometri dal mare: le conseguenze sulla fauna ittica sono devastanti. La diga interrompe la risalita dei pesci e per mezzo secolo impedisce i naturali spostamenti delle specie migratrici. I primi ad accorgersi che c’è qualcosa che non va sono i pescatori a monte della diga: in pochi mesi spariscono specie autoctone che popolavano queste acque dalla notte dei tempi. Intanto le turbine della centrale idroelettrica girano a pieno regime per spingere il miracolo economico italiano. Scienziati e ambientalisti protestano, invano. Per oltre cinque decenni non succede nulla.
I numeri
La svolta arriva nel febbraio 2017, quando viene aperto il passaggio per pesci. L’impianto, realizzato dalla società Graia, è costato 7 milioni di euro, coperti per quasi metà da fondi Ue. «Questa autostrada blu – spiega l’ittiologo Cesare Puzzi – permette il libero movimento dei pesci sia a monte che a valle della centrale, ripristinando le rotte migratorie per 500 chilometri, dall’Adriatico al Lago di Lugano». «È una delle opere più importanti in Europa per la conservazione della natura», commenta Franco Mari, project manager del progetto europeo «Life ConFluPo». I numeri raccontano di una scommessa vinta: in un anno e mezzo sono state osservate transitare da valle a monte della diga 17 specie e oltre 25mila esemplari.
Il corridoio blu
Monticelli d’Ongina è terra di confine. La provincia è quella di Piacenza, ma la città più vicina è Cremona. Il dialetto emiliano è impastato di suoni lombardi. Da queste parti la vita scorre placida, al ritmo del Grande Fiume. Nei campi cresce l’aglio bianco «più buono del mondo», giurano al bancone della trattoria Malpensanti. L’ascensore dei pesci sorge poco più in là, appena fuori dal centro abitato, a fianco della centrale Enel. Il passaggio ecologico consiste in una doppia scala a forma di Y in grado di collegare il fiume a monte della diga con i due rami (quello naturale e quello artificiale) posizionati a valle. Visto dall’alto sembra un labirinto di cemento. Ma i pesci non si perdono: il loro segreto è risalire la corrente dov’è più intensa.
La minaccia del pesce siluro
I due tracciati, che permettono di aggirare la diga, si compongono di 38 e 48 bacini per una lunghezza complessiva di 610 metri e consentono a cefali e anguille il superamento di un salto idraulico rispettivamente di 9,5 e 12 metri. «Per colmare il dislivello affrontano una lunga salita con una pendenza media del 12%», spiega l’ispettore superiore della polizia provinciale Roberto Cravedi, responsabile del Nucleo Tutela Faunistica Caccia e Pesca. I passaggi sono larghi circa 70 centimetri e quindi percorribili anche da pesci che arrivano a misurare due metri, come ad esempio gli storioni. L’impianto, inoltre, è dotato di un sistema di cattura per la rimozione dal fiume dei predatori alloctoni invasivi, come i pesci siluro.
La cabina di osservazione
La gestione della scala ittica è affidata alla Regione Emilia Romagna. Per garantire un controllo sull’efficienza del passaggio delle specie migratrici è stata predisposta una speciale cabina di monitoraggio che permette l’osservazione diretta del transito dei pesci. Si scende dieci metri sottoterra, fino a raggiungere una piccola stanza dalle pareti gialle. Qui due grandi vetrate affacciano su altrettante strettoie, passaggi obbligati per i pesci che risalgono il Po. Due telecamere filmano ogni movimento, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Serve un po’ di pazienza, ma dopo qualche minuto l’attesa viene ripagata: dall’altra parte del vetro un pesce barbo si ferma incuriosito a scrutare i cinque ominidi che guardano nella sua direzione. Dura un attimo, poi con un colpo di pinna fila via risalendo il fiume.