la Repubblica, 12 ottobre 2018
Il funerale dell’alpino morto cent’anni fa
L’alpino Rodolfo Beretta vedeva la morte degli altri tutti i giorni, ma non ha avuto il tempo di sentire arrivare la sua. Aveva trent’anni e con un soffio lo ha inghiottito una valanga a passo Cavento, quota 3 mila metri, sul ghiacciaio dell’Adamello, fra Trentino e Lombardia. Quella mattina, 8 novembre 1916, assieme a tre compagni portava viveri ai commilitoni del Battaglione d’Intelvi, 5° Reggimento e 244esima Compagnia, rintanati nelle trincee contro i Kaiserjaeger austriaci. Ricorda il diario: «Cielo coperto, neve e tormenta fortissima, temperatura massima -3, minima -12». Pare sia stato un colpo di cannone: un tuono, il vento e la neve non è più riuscita a restare appesa alla roccia. Lo hanno trovato due alpinisti nell’estate del 2017: un corpo ancora congelato dentro la divisa, il suo berretto di lana, la pipa, gli scarponi. In un astuccio c’erano i suoi documenti, tra cui la ricevuta di una spedizione ferroviaria del 1915. Rodolfo Berretta, il poco che riceveva, lo mandava a casa, a Besana, vicino a Monza. Sapeva che sua madre, ogni giorno, pregava la madonnina del Menzonigo di farlo tornare presto. Invece c’è voluto oltre un secolo: un istante per scomparire, 102 anni per rivedere il luogo in cui era nato il 13 maggio 1886. Il funerale dell’alpino ora è fissato per domani, alla vigilia dell’anniversario della fine della prima Guerra Mondiale, siglata a Villa Giusti, a Padova, il 3 novembre 1918. Nel cimitero monumentale di Trento si terrà la cerimonia di resa degli Onori solenni, organizzata dal ministero della Difesa. Poi i resti di Rodolfo Beretta verranno consegnati ai pronipoti. Li porteranno in Brianza, finalmente a casa, per un funerale che vola sopra tre secoli di storia europea. Nei libri si chiama Guerra Bianca, ma è stata una tragedia più nera del buio. I confini per cui si fece strage, sulle Alpi, passavano sulle creste e in mezzo alle vette. Allora la montagna era un mare di ghiaccio e si moriva più di freddo e di fame, che a causa dei cecchini. Il compito di Rodolfo Beretta era il più duro: faceva il mulo, incaricato di portare a spalle le vivande dalle retrovie di Temù e della Val di Pezzo fino agli oltre 3 mila metri dell’Adamello. Nessuno lo ricorda come un eroe ed è stato ritrovato solo perché il ghiacciaio, un secolo dopo, non resiste più e si scioglie per colpa del clima che stiamo sconvolgendo. Però ha ubbidito ed è morto facendo il suo dovere, per aiutare altri compagni a vivere. Giù il cappello, cent’anni dopo, davanti a un caduto normale che sognava un’Europa in pace e senza più confini.