Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  ottobre 12 Venerdì calendario

Il funerale dell’alpino morto cent’anni fa

L’alpino Rodolfo Beretta vedeva la morte degli altri tutti i giorni, ma non ha avuto il tempo di sentire arrivare la sua. Aveva trent’anni e con un soffio lo ha inghiottito una valanga a passo Cavento, quota 3 mila metri, sul ghiacciaio dell’Adamello, fra Trentino e Lombardia. Quella mattina, 8 novembre 1916, assieme a tre compagni portava viveri ai commilitoni del Battaglione d’Intelvi, 5° Reggimento e 244esima Compagnia, rintanati nelle trincee contro i Kaiserjaeger austriaci. Ricorda il diario: «Cielo coperto, neve e tormenta fortissima, temperatura massima -3, minima -12». Pare sia stato un colpo di cannone: un tuono, il vento e la neve non è più riuscita a restare appesa alla roccia. Lo hanno trovato due alpinisti nell’estate del 2017: un corpo ancora congelato dentro la divisa, il suo berretto di lana, la pipa, gli scarponi. In un astuccio c’erano i suoi documenti, tra cui la ricevuta di una spedizione ferroviaria del 1915. Rodolfo Berretta, il poco che riceveva, lo mandava a casa, a Besana, vicino a Monza. Sapeva che sua madre, ogni giorno, pregava la madonnina del Menzonigo di farlo tornare presto. Invece c’è voluto oltre un secolo: un istante per scomparire, 102 anni per rivedere il luogo in cui era nato il 13 maggio 1886. Il funerale dell’alpino ora è fissato per domani, alla vigilia dell’anniversario della fine della prima Guerra Mondiale, siglata a Villa Giusti, a Padova, il 3 novembre 1918. Nel cimitero monumentale di Trento si terrà la cerimonia di resa degli Onori solenni, organizzata dal ministero della Difesa. Poi i resti di Rodolfo Beretta verranno consegnati ai pronipoti. Li porteranno in Brianza, finalmente a casa, per un funerale che vola sopra tre secoli di storia europea. Nei libri si chiama Guerra Bianca, ma è stata una tragedia più nera del buio. I confini per cui si fece strage, sulle Alpi, passavano sulle creste e in mezzo alle vette. Allora la montagna era un mare di ghiaccio e si moriva più di freddo e di fame, che a causa dei cecchini. Il compito di Rodolfo Beretta era il più duro: faceva il mulo, incaricato di portare a spalle le vivande dalle retrovie di Temù e della Val di Pezzo fino agli oltre 3 mila metri dell’Adamello. Nessuno lo ricorda come un eroe ed è stato ritrovato solo perché il ghiacciaio, un secolo dopo, non resiste più e si scioglie per colpa del clima che stiamo sconvolgendo. Però ha ubbidito ed è morto facendo il suo dovere, per aiutare altri compagni a vivere. Giù il cappello, cent’anni dopo, davanti a un caduto normale che sognava un’Europa in pace e senza più confini.