la Repubblica, 8 ottobre 2018
Max o Maxine, giovane farfalla in cerca di identità
C’è questo ragazzino buonissimo, che ama molto i suoi genitori che lo amano e si amano, eppure proprio a causa sua, si separano: il papà si trova subito una bionda, la mamma si attacca al figliolino e si mette a fare saponette profumate. A Manchester. Il problema familiare è che il dodicenne Max vuole farsi chiamare Maxine e mettersi il rossetto.
Trattasi di disforia di genere, noi sempliciotti diremmo transgender, che ha ispirato montagne di film e di libri, però con protagonisti già signore anche se padri. Storie di transizione, che fanno vedere lui che poi è lei o viceversa, sono più rare, c’è per esempio The Danish Girl ispirato alla vita dell’artista danese Einar Wegener che se avesse capito di voler essere Lili Elbe (Eddie Redmayne nel ruolo lui/lei) prima di sposarsi, appena giovinetto, forse le sarebbe andata meglio. Certo è più ardito affrontare storie di confusione sessuale precoce, che secondo gli studiosi può rivelarsi già verso i 4 anni, si può immaginare con quale sconvolgimento del bambino e dei genitori.
La bella adolescente di Girl, adesso nei cinema, è in fremente attesa di liberarsi da ciò che la rende maschio, e arriva a dicembre su FoxLife Butterfly, miniserie inglese in tre puntate in cui la farfalla Maxine non sopporta di essere prigioniera della crisalide Max. Quando vediamo Maxine nuda (pudicamente dalle spalle in su) nella vasca da bagno, che guarda orrificata in giù verso la sua virilità impubere, chi fu bambina decenni e decenni fa si sente gratificata; allora si litigava in famiglia su questo signore con la barbetta bianca che disquisiva su una certa Invidia del Pene: non essendo ancora aduse alle simbologie, l’idea ci pareva molto stravagante anche perché giocando al dottore i maschietti non ci sembravano granché.
Adesso anche la televisione più parrocchiale riconosce l’esistenza dell’Odio del Pene da parte di alcuni, secondo il barbetta, fortunati possessori, che invece non ne vogliono sapere. Il papà di Maxine (Emmett J. Scanlan), bello con barba e occhi azzurri, del tipo squisitamente dolce e rispettoso, adesso da noi fuori moda, teme che quello che lui crede sia un capriccio infantile, sia rafforzato dalla separazione e quindi torna a casa, dapprima dormendo per terra, poi conquistando il letto con moglie (Anna Friel), viso molto interessante e certo sempre preoccupato, data la situazione.
Lui vuole riavere il suo Max, che per compiacerlo accetta anche un gioco maschio come fare a pugni insieme, lei crede che se Max vuole farsi chiamare Maxine e portare la minigonna, solo in casa però, bisogna assecondarlo.
I genitori non temono il pregiudizio degli altri, tutti e due sia pure in modo diverso vogliono solo assicurarsi che quel loro complicato figlio-figlia sia felice; il nonno più spiccio gli concederebbe di essere gay, la nonna all’antica non ne vuole sentir parlare, la sorella adolescente è contenta e lo protegge. Nuovi litigi, interventi di servizi sociali impiccioni, fughe a Boston dove ci sono specialisti del ramo, psicologi, medici, arresti, riconciliazioni, insulti dai coetanei. La miniserie affida il ruolo di futura farfalla a un preadolescente maschio (come è maschio la protagonista di Girl), Callum Booth-Ford: piccolino bruttino, malinconico, con la testolina sempre abbassata come per nascondersi quando è Max, molto carina, luminosa, felice quando può essere Maxine e mettersi gli orecchini, un fiocco nei capelli e truccarsi un po’.
Scritto da Tony Marchant, diretto da Anthony Byrne con compostezza tipicamente inglese, Butterfly ha molti meriti, non solo di intrattenimento, ma pure sociali e democratici, ed è anche tranquillizzante e totalmente asessuato: per famiglie, non so quanto gradito ai nostri “pro familia”: a Verona poi, chissà!
Al massimo la Protezione del Fanciullo può chiedersi come hanno spiegato il ruolo al giovane Callum: ma poi si sa che a quell’età oggi con i loro marchingegni elettronici ci sono ragazzini che ne sanno più del diavolo, diavolini imperscrutabili loro stessi. È anche probabile che la serie abbia uno scopo didattico e medico preciso, sostenendo un metodo di aiuto che fa un po’ impressione, cioè la sospensione della pubertà, il che, se ho capito, avrebbe due scopi: dare tempo al ragazzino o ragazzina (Shiloh, figlia di Angelina Jolie, col consenso dei genitori a 8 anni ha deciso di essere maschio) di essere certi delle loro scelte, impedire che arrivati all’eventuale momento degli interventi ormonali e chirurgici già abbiano la barba se nati maschi, o il seno, se nati femmine. Casini comunque difficili da affrontare, perché poi se le statistiche sono credibili, su dieci adolescenti incerti del loro gender, due confermeranno la disforia, due si riveleranno omosessuali, ma ben sei si riconosceranno nel sesso di nascita. Naturalmente i produttori e tutti i responsabili della serie si sono non solo informati, ma addirittura immedesimati nei ruoli della storia, affidandosi alla sapienza di un’associazione, Mermaids, che tiene corsi sulla disforia per genitori preoccupati e ragazzi dubbiosi, famiglie del tutto normali che si trovano a vivere qualcosa di straordinario, di impensabile.
Butterfly ricostruisce anche questi incontri, tenuti da una specialista, Susie Green, che mostra estasiata la foto della sua stupenda figlia ventenne, che era naturalmente un maschietto sbagliato.