il Fatto Quotidiano, 8 ottobre 2018
Ristoranti e bar galleggianti con la benedizione di Christo
Cosa posso fare se mi credo Christo? Beh, posso provare a camminare sulle acque di un lago svizzero. Non si tratta di una deriva mistico-maniacale, ma di una manifestazione, straordinariamente esplicita, della riduzione dell’arte contemporanea a purissimo marketing. Andiamo con ordine. Qualcuno ricorderà l’estate del 2016, quando il notissimo artista americano di origini bulgare, Christo Yavachev, fece costruire sul Lago d’Iseo una passerella di tre chilometri e mezzo, sulla quale, in sedici giorni, camminò un milione e mezzo di persone. L’installazione costò alle casse pubbliche oltre due milioni di euro, e Legambiente fece notare che il tutto si era risolto spostando al lago il rito del fine settimana al mare: lunghissime code di auto sgasanti in entrata e poi in uscita, e nel mezzo solo la camminata sull’acqua.
Senza conoscenza, godimento o anche solo contatto con l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio storico e artistico circostante. L’arte al servizio del consumismo: non una provocazione, ma una rassicurante conferma del nostro singolare stile di vita. Una lettura severa, si dirà. Forse: ma ciò che sta per succedere in Canton Ticino sembra confermarla in pieno.
Qui, con precisione svizzera e furbizia tutta italica, è in corso di approvazione il progetto WoW: Walk on Water (quando si dice l’understatement). Un gruppo di imprenditori ticinesi, appoggiato dal governo cantonale, vuole costruire una passerella pedonale sull’acqua del Lago Maggiore, ovviamente nella parte elvetica: “Tra Ascona e il Parco Botanico delle Isole di Brissago, eliminando quello che è uno degli handicap più pesanti per il Parco Botanico, ovvero la sua raggiungibilità limitata alla navigazione lacuale”. Un italianissimo giro di parole attraverso cui il progetto rivela l’insospettabile: e cioè che un’isola ha l’inconveniente di essere in mezzo all’acqua.
Da qua la “necessità” di una passerella lunga tre chilometri, larga quanto un’autostrada a quattro corsie e costruita con 220.000 cubi di polietilene ad alta densità: una pista galleggiante che nelle intenzioni dei progettisti dovrebbe rimanere lì per cinque anni a partire dal 2019, e che costerà circa 30 milioni di euro. “Anche Ubs, il più grande istituto bancario Svizzero – informa con entusiasmo la relazione tecnica ufficiale – crede strenuamente nel progetto ed è disposto ad assumerne la gestione finanziaria”.
Lo scopo dichiarato dell’impresa sembra difficilmente contestabile: “La passerella galleggiante è concepita come una passeggiata attrezzata che attraversando il paesaggio del lago offre un’esperienza unica per riscoprire gli elementi del territorio. Una serie di contenuti ritma questo nuovo percorso e offre ai visitatori servizi e percorsi tematici legati ai temi dell’arte del paesaggio e del territorio”. Su questa pretesa vocazione ambientale fa leva il vero colpo di genio dei progettisti, cioè presentare questa enorme striscia di plastica come “modifica puntuale (locale) del Piano Cantonale dei sentieri escursionistici”: escamotage per farsi autorizzare qualcosa che giammai le regole ticinesi e confederali avrebbero altrimenti consentito di costruire (mica siamo in Italia!).
Ancora per qualche giorno, i cittadini svizzeri possono presentare osservazioni e obiezioni al progetto, e qualcuno sta cominciando a reagire. La Società ticinese per l’arte e la natura mi ha scritto di ritenere che “alla base del progetto in questione vi siano idee e mentalità pericolose per la conservazione del nostro paesaggio, definito bene comune dalla legge cantonale sullo sviluppo territoriale; in particolare, gli obiettivi principali accampati a giustificazione del progetto sono dettati da una visione mercificatrice del territorio ticinese”.
E l’architetto ticinese Cristiana Storelli si è fatta pubblicamente alcune domande: “Valorizzare, certo… ma è proprio con quella proposta che si valorizza per davvero il (un) territorio? Usare, certo… ma è quello il modo (la proposta) più appropriato per usarlo con l’intento di renderlo godibile alla popolazione? Creare un ponte-passerella, mascherato sotto la parola sentiero escursionistico (forse sperando di eludere qualche trafila?)… per andare (passeggiare, già) all’isola-parco-botanico, in modo da invadere o meglio far invadere un luogo prezioso che male sopporta invasioni come nelle previsioni degli autori?”. Per rispondere si deve guardare lo schema della passerella, che spiega da dove verrà il reddito: si tratta di un vero centro commerciale galleggiante, con due ristoranti, tre punti di ristoro e due bar. E considerare che ogni giorni sono previste 20.000 persone, di cui però solo 1000 saranno ammesse all’isola: dunque la passerella non è un mezzo, ma un fine.
Ora, in tutto questo uno si chiede: è un puro caso la somiglianza con la passerella che Christo aveva installato sul Lago d’Iseo, a meno di duecento chilometri di distanza? Con ammirevole faccia tosta, i promotori svizzeri hanno sempre negato il nesso, ma quando, in agosto, Christo è stato a Locarno ha benedetto l’imitazione, dandole il suo “via libera” (così la stampa locale). La morale di questa storia – che viene da un’Italia che non è Italia ma è Italia – è assai istruttiva: quando l’arte diventa puro consumo non c’è più bisogno di arte. Il gioco si fa scoperto: e conta solo la dimensione economica dell’evento. Non serve più nemmeno l’artista, con la sua aura: bastano una cordata di imprenditori e un gruppo bancario potente.
Impossibile non far propria la mirabile conclusione dell’architetto Storelli: “Forse questa ‘cazzata’, in fase embrionale oso sperare, aiuta a chinarsi sul patrimonio, che è di tutti, con la dovuta attenzione, la dovuta sensibilità e il dovuto rispetto”. E, aggiungo, aiuta anche a domandarsi quale sia, oggi, la vera funzione dell’arte.