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 2018  ottobre 08 Lunedì calendario

Ecco chi sono i Re del Debito italiano

Nonostante sia quasi un’ossessione collettiva, il debito pubblico non è il male: in quell’aggregato ci sono, per dire, anche le scuole o gli ospedali. Né certo è l’unica variabile che conta nell’economia di un Paese: come quasi tutte le cose della vita dipende dal contesto. Ad esempio, lo stock del debito – cioè il suo livello nominale – significa poco: Italia e Germania, in euro, hanno debiti pubblici simili eppure il loro peso sul Pil, la ricchezza prodotta nel Paese, è assai diverso. La crescita è, infatti, per consenso unanime l’unica via per stabilizzare o ridurre il debito insieme, ovviamente, a una pragmatica politica di bilancio: già questo dovrebbe far capire al lettore quanto sia semplicistico dire “meno deficit, meno debito” dato che la spesa dello Stato incide sulla ricchezza nazionale.
Visto, però, che molti in questi giorni si strappano le vesti sui decimali di deficit, in questa tabella (ripresa in parte da Formiche.it) facciamo un’operazione sul modello “a brigante, brigante e mezzo”: come vedete, infatti, i “Re del debito” quanto ad aumento medio giornaliero dello stock sono tutti alfieri del bilancio responsabile e dei mercati che non vanno contraddetti.
Giuliano Amato, che si ritrovò a fronteggiare la crisi del 1992, guida la classifica con 342 milioni di euro al giorno. Lo segue, un po’ a sorpresa, Paolo Gentiloni con 309 milioni di euro: si tratta dell’ex premier che ha dichiarato giusto qualche giorno fa che “le manovre a debito creano cocci”. Terzo con 242 milioni di euro al giorno è Mario Monti, la personificazione stessa del bilancio responsabile, anche lui al governo durante una violenta crisi economica. Curioso notare come nella top ten, chiusa da Matteo Renzi, ci siano 7 premier della Seconda Repubblica e solo 3 della Prima e non a caso tutti degli anni Ottanta.
Questo ci consente di passare alla parte sinistra del grafico in cui si dà conto dell’assai più rilevante rapporto tra debito e Pil. Qui il racconto è più complesso. L’Italia entra negli anni Ottanta con un debito inferiore al 60 per cento del Pil, il famigerato parametro di Maastricht. In quel decennio, però, il rapporto raddoppia e lo fa, all’ingrosso, per due motivi: ai problemi di assestamento del sistema produttivo seguiti all’entrata nello Sme (il genitore dell’euro) il 1° gennaio 1979 segue il divieto per la Banca d’Italia di acquistare i titoli residuali alle aste del debito (il cosiddetto divorzio tra Tesoro e Bankitalia del 1981). Di fatto, negli anni 80, una spesa pubblica molto alta per sostenere il sistema produttivo e il welfare (non seguita peraltro da un’analoga crescita delle entrate fiscali) si è accoppiata all’esplosione dei rendimenti del debito pubblico causata dal divorzio (da quel momento il prezzo lo hanno fatto i “mercati”).
Nell’Ue di Maastricht entriamo con un rapporto debito-Pil che s’avvia a toccare e poi sfonda il 120%: da quel momento, però, quell’indicatore cala sia col centrosinistra che con Berlusconi fino a scendere nel 2007 sotto al 100% del Prodotto (come la Francia oggi) e senza pareggio di bilancio.
Poi c’è il mondo di oggi che inizia, lo vedete dal grafico, con la crisi dei subprime scoppiata in Usa nel 2007: il rapporto debito-Pil torna al 116% del Pil in tre anni e lì arriva Monti, sospinto dalla crisi dello spread. Col premier del rigore, il rapporto cresce di altri 13 punti in due anni per il semplice motivo che la manovra “salva-Italia” manda il Paese in recessione: se fosse politicamente necessario, come sostiene il senatore a vita, per permettere a Draghi di varare il suo Quantitative easing non è argomento di queste righe.
Adesso, peraltro, la Bce si appresta a finirla con gli strumenti espansivi e dunque sarebbe ancor meno comprensibile una manovra recessiva (che fa aumentare il rapporto debito-Pil) in assenza di contropartite possibili.
P.S. In ultimo va restituito a Paolo Gentiloni quel che è suo: grazie a una crescita mondiale particolarmente sostenuta che ha trainato anche il Pil italiano, è l’unico premier del decennio ad aver ridotto, seppur di pochissimo, il livello di debito sul Pil.