Il Messaggero, 8 ottobre 2018
Il mercato nero del tartufo bianco
Un prodotto che può essere venduto anche oltre i 300 euro all’etto, presente a poca distanza da Roma, ma che spesso prende la destinazione del Nord Italia, verso luoghi in cui è un simbolo, come Alba. Attraverso un mercato ufficioso. Il motivo? Non un guadagno superiore, ma garantito. Il Reatino è terra di tartufo bianco. Eppure, a parte micologi e ricercatori esperti, in molti associano la provincia sabina solo al tartufo nero, di ottimo sapore, ma minor valore. E invece il Reatino non solo è tra le province più ricche d’Italia per la produzione di tartufi in generale, ma sono presenti tutte le specie più pregiate della famiglia Melanosporum: Bianco pregiato e Nero pregiato, ma anche Scorzone e Uncinato.
Nel corso dell’anno si svolgono sagre dedicate al tartufo, come a Stipes di Ascrea e a Casperia, ma il destino del tartufo bianco, il Tuber Magnatum latino, è spesso un altro: quello di essere venduto in altre zone d’Italia, Alba in primis. Un mercato sotterraneo iniziato negli anni Ottanta del secolo scorso e che prosegue ancora oggi, spesso attraverso un rapporto di fiducia alimentata nel tempo tra venditore e acquirente: «Ma dipende dalla stagione, non avviene sempre così – assicura un imprenditore agricolo di Cittaducale, che racconta, in modo anonimo, il percorso del prezioso fungo ipogeo. – La presenza di tartufi, di quelli bianchi in particolare, è estremamente variabile di anno in anno. In Umbria c’è la tradizione del tartufo nero, è richiesto, mentre qui la domanda è altalenante, imprevedibile. Molti locali, poi, sono orientati a un offerta sì di qualità ma che non può arrivare ai picchi del tartufo bianco: insomma, nel Reatino rischierebbe di essere un prodotto sotto-utilizzato». E allora la strada dell’esportazione, senza la luce dei riflettori, si rivela, per alcuni, più sicura. «Il tartufo bianco, per definizione, è ad Alba, in Piemonte – prosegue l’imprenditore. – È in quelle zone che la richiesta è elevata e non può mancare ma, appunto, la produzione è variabile. Questo avviene ovunque, con altri prodotti: ad esempio, nel 2012, il tipico fagiolo borbontino vide una produzione ridotta a causa della siccità e a Borbona, quell’anno, la sagra venne rinviata. Ma per un prodotto ricercato e dal valore economico elevato quale il tartufo bianco, nei territori in cui è fondamentale per l’economia, non si può correre il rischio che manchi. Diciamo che nel Reatino è presente una specie di mercato di scorta».
LA SCORTA
Da qui, il flusso che si dirige verso il Piemonte. «La domanda da Alba e dintorni – osserva l’imprenditore – esiste mentre qui da noi è un’incognita. I prezzi sono estremamente mutevoli, oscillando da 180 a 300 euro all’etto e la vendita, anche sul mercato sotterraneo, riflette i valori stagionali». A favorire la nascita dei tartufi sono particolari condizioni climatiche e del suolo. «Le aree del Reatino a maggiore concentrazione di tartufi sono quelle del Cicolano – ricorda la micologa Sara Tenerelli – ma anche le non lontane Valli del Salto e del Turano, da Petrella Salto ad Ascrea, arrivando fino a Cittaducale. I tartufi bianchi prediligono zone con pioppi, lecci e faggi. Solitamente la sua crescita avviene fino ai 600 metri ma non mancano esempi di una sua presenza in aree più elevate». Nell’ottobre del 2007, due tartufi bianchi di grandi dimensioni vennero trovati in un’area boscosa di Cittaducale, del peso di 500 e di 300 grammi. L’anno precedente, a Cantalice, un tartufo nero, della tipologia Tuber Mesentericum, una delle nove commestibili, venne trovato a 1.300 metri d’altezza, dal peso, incredibile, di nove chilogrammi. Fu portato al Cnr di Perugia, che accertò che era geneticamente modificato.