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 2018  ottobre 07 Domenica calendario

Quelli sopravvissuti alle cure anti-gay

Tutti noi leggiamo delle terapie per guarire dall’omosessualità con una punta di incredulità. Garrard Conley è stato costretto dalla madre e dal padre, predicatore battista, a entrare in una di queste strutture quando aveva 19 anni, altrimenti avrebbe corso il rischio di perdere la propria famiglia, gli amici e il Dio che fino ad allora aveva pregato ogni giorno. Era il giugno 2004 e i genitori speravano che il figlio potesse uscirne eterosessuale e con una fede in Dio più solida.
Nato in Arkansas, centro della  Bible Belt, Garrard racconta il suo percorso di accettazione, tra traumi e vergogna, in Boy Erased. Vite cancellate, un memoir ora in uscita in Italia per Black Coffee nella traduzione di Leonardo Taiuti. Da questa eloquente testimonianza che ci aiuta a non fraintendere i pensieri bigotti che hanno generato tali cure, il loro umorismo grottesco e la complessità di carattere di chi è costretto a seguirle, è stato tratto l’omonimo film presentato alla più recente edizione del Toronto Film Festival. «Sono entusiasta – racconta Garrard a “la Lettura” – di vedere Boy Erased crescere in tanti modi diversi. Oltre a questo grande film, abbiamo anche un podcast, UnErased, che scava nelle storia della terapia di conversione e porta alla luce i racconti di altri sopravvissuti. Penso che il film, il libro e il podcast abbiano il potere di far conoscere questa realtà a un numero di persone sempre maggiore. È valsa la pena di affrontare tutta questa fatica, perché ora abbiamo la possibilità di cambiare la cultura ad ampio raggio».
Dove ha trovato la forza di scrivere questo libro di memorie, quando tutti le dicevano che avrebbe recato un danno enorme alla carriera di suo padre?
«Volevo rendere omaggio alle storie dei sopravvissuti che avevo ascoltato e sui quali ho continuato a fare ricerche. Ho visto dolore e sofferenza, ho fatto un calcolo mentale per capire se questo valeva o meno il patimento che mio padre avrebbe sperimentato. Non è stato facile. Sono rimasto sveglio moltissime notti con il terrore di questo libro».
Nel libro ci sono molti riferimenti letterari, ad esempio quando dice che per essere uno scrittore migliore avrebbe dovuto seguire Cechov, Hemingway e Carver. Non Faulkner.
«Per molto tempo, ho pensato che l’unica via per essere migliore fosse quella di riportarmi a una mascolinità “essenziale”. Tutto ciò che era troppo florido poteva essere visto con sospetto. Forse il fatto che molti della comunità letteraria abbiano per un certo numero di anni creduto alla stessa cosa è una coincidenza, ma ne dubito, perché mi pare che molta della mascolinità tossica con cui sono cresciuto possa essere trovata nei programmi letterari di tutto il Paese. Quando ero piccolo, l’estetica di Carver era molto popolare nei programmi di scrittura creativa universitari, così negli anni io ho cercato disperatamente di convincermi che mi piaceva. Alla fine io però preferisco Faulkner, sebbene secondo me anche lui abbia avuto i suoi problemi con l’essere queer».
Sono più di 10 anni che non fa appello a Dio. Nella sua vita la letteratura ha sostituito la religione?
«Non sono sicuro che qualcosa possa veramente prendere il posto della religione, radicata com’è nella mia mente sin dalla nascita. Credo però che nel leggere letteratura ci sia una sorta di mistero silenzioso paragonabile all’esperienza del mistero religioso. Il processo di comunicazione con i morti o con chi è eccessivamente intuitivo sembra spaccare il tempo e rivelare un senso di eternità. Per me la buona letteratura è una forma di comunicazione più pura della religione, perché l’ambiguità e il dubbio sono liberi di respirare».
Quali sono i personaggi letterari verso cui sente di avere maggiore compassione?
«Sono un fan dei fannulloni, dei pervertiti, degli squilibrati, dei fanatici. Se non li trovo in Dostoevskij, li trovo in Nightwood di Djuna Barnes. Tendo ad andare incontro a personalità estreme, persone le cui vite sono state alterate da uno stretto confronto con i limiti del pensiero umano. Non scrivo sempre di personaggi così, però. In Boy Erased è l’inazione mia e della mia famiglia a tradursi in tragedia. L’unico atto “estremo” è quando mia madre e io decidiamo di lasciare la struttura. Ora sto scrivendo un romanzo in cui ai miei personaggi permetto di essere estremi solo nei pensieri, di rado nelle azioni, il che può quasi sovrapporsi alla vita stessa, dato che ho scoperto che la maggior parte delle persone non hanno il coraggio di fare azioni estreme. Con la nostra inazione tendiamo a morire ogni settimana di piccole morti e la tragedia si traduce in ciò che non facciamo».
Può dirci qualcosa di più sul prossimo romanzo?
«È ambientato nelle colonie durante il Great Awakening (il revival religioso d’inizio XVII secolo in America, ndr), quando l’esperienza religiosa soggettiva si faceva più intensa eppure le persone erano ancora ossessionate dai segni esteriori di indocilità, prova che qualcuno non faceva parte degli eletti di Dio. Rispetto a oggi, c’era anche più uniformità nella proporzione tra vergogna e senso di colpa».
Oggi sembra che tra gli americani ci sia più attenzione verso la vergogna, mentre in Italia c’è più sensibilità rispetto al senso di colpa. È d’accordo?
«Perché il senso di colpa è privato e gli americani sono ossessionati da come vengono percepiti? Sì, sono d’accordo. Da americano non sono sicuro di aver mai pensato di essere colpevole di qualcosa, certamente però crescendo ho provato un chiaro senso di vergogna».
C’era un romanzo che si vergognava di leggere?
«Spesso mi aggiravo tra le sezioni lesbiche/gay delle librerie Barnes & Noble, prendevo un libro queer e lo leggevo in disparte, coprendo con cura la copertina con le mani o con le ginocchia piegate sulla sedia. Ricordo di aver letto un po’ di Un giovane americano di Edmund White e di essermi sentito in imbarazzo per l’erezione che mi è venuta leggendo alcuni passi».

C’è un passaggio di «Boy Erased» in cui parla della sua paura di essere costantemente controllato da telecamere nascoste. È mai passata?
«Mai. Non sono paranoico (per il momento), ma non sono mai stato a mio agio nella mia pelle. La terapia di conversione mi ha fatto questo dono per la vita».
Lei è anche un attivista Lgbtq. Un parola nei confronti dei movimenti politici contrari alle unioni civili tra persone dello stesso sesso?
«I messaggi che mandano hanno anche conseguenze involontarie. Ogni politica bigotta contro una minoranza ha la capacità di influenzare la salute mentale dei cittadini e il tasso di suicidi. Se questo non interessa, vuol dire che non interessano gli essere umani».