La Lettura, 7 ottobre 2018
Le parole di Dickens spiegano Marchionne
Vite parallele di Sergio Marchionne secondo Marco Ferrante e Paolo Bricco. Ecco il primo nell’ufficio di Marchionne: «C’è una grande scrivania, un salottino con due divani LC2 (cioè due posti) di Le Corbusier disposti a elle e un tavolino di vetro curvato di Cini Boeri». Accanto allo stereo «cd di Conte, Endrigo, Callas, Vecchioni e il Te Deum di Mozart». Per Bricco, Marchionne è: «Più Philip Roth che Tom Wolfe. Più Mean Street che non Wall Street. Più la strada che non gli uffici. Più gli uomini con l’affanno per la vita che non i professionisti dai discorsi sussurrati e dalle cravatte di Hermès. Più le donne con la borsa della spesa che non le socie degli studi legali vestite Prada...». Con le cravatte aveva una questione personale. Sparlando con Ferrante del look di un potente, disse: «Si veste da italiano». Ferrante chiosa: «Voleva segnalare un eccesso di cravatte». Bricco racconta il Marchionne furioso: «Noi investiamo 20 miliardi di euro e prendiamo gli schiaffi. Il Paese ha perso il senso istituzionale. La bussola è partita. Qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo e sono usciti tutti. È difficile andare in giro per il mondo a spiegare cosa succede in Italia. È vergognoso». E la delusione di Fabbrica Italia: «La Fiat di Marchionne è salva. Ma la Fiat di Marchionne non ha salvato il Paese. Fabbrica Italia non è stata realizzata. E il paesaggio industriale italiano non è mutato». Ferrante cita l’incipit preferito da Marchionne. È di Dickens, Racconto di due città, il romanzo sulla Rivoluzione francese: «Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il Paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta». Un incipit che è anche un perfetto finale.