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 2018  ottobre 07 Domenica calendario

Il ritorno dei Led Zeppelin


Gerrard Street, Chinatown, West End di Londra. La strada in cui sorge la casa di Mr Jaggers inGrandi speranze di Charles Dickens. È il 12 agosto del 1968, ed è in effetti un giorno di grandi speranze. In uno scantinato di un negozio di dischi, quattro giovani musicisti – tre facce d’angelo e un energumeno che suona la batteria – si guardano l’un l’altro. Il chitarrista chiede agli altri tre:” Conoscete per caso Train Kept A- Rollin?”. "Io sì”, risponde il cantante. Train Kept A- Rollin è uno standard del rock ’n roll che il chitarrista suona già dal 1965. L’energumeno alla batteria dà il tempo, il chitarrista suona il riff e il cantante intona: “Aboard a train / I met a dame…”. La jam session di Gerrard Street è l’atto di fondazione della più influente rock band del Novecento: i Led Zeppelin.
A cinquant’anni di distanza da quel giorno, le tre facce d’angelo, Jimmy Page, Robert Plant e John Paul Jones, i reduci della band (il meraviglioso energumeno che rispondeva al nome di John “Bonzo” Bonham – secondo la rivista Rolling Stone "The best drummer of all time” – morì nel 1980 nella villa di Page a Windsor al culmine della milionesima, colossale sbronza), si rincontrano tra le pagine del libro ufficiale che ne celebra l’anniversario: Led Zeppelin by Led Zeppelin ( Rizzoli Lizard). Un volume fotografico di quattrocento pagine zeppo di fotografie inedite, artwork e materiale d’archivio.
“Io e John vagavamo tra balere e discoteche. Due grossi pesci rumorosi che nuotavano controcorrente. John con la sua incredibile tecnica e il suo esibizionismo, io col mio continuo, incessante ululato. Così giovani e sicuri di noi, eravamo una vera potenza. Riuscivamo a svuotare una pista da ballo in pochi secondi”, racconta Robert Plant nel prologo del libro.
A detta dei tre, la session di Gerrard Street fu una specie di incantesimo, una magia capace di rivelare a ciascuno la verità fondamentale della loro vita, ossia che insieme erano il congegno musicale perfetto, una furente, ineguagliabile mitragliatrice spara-note. Per Jimmy Page, che già aveva conosciuto il successo con gli Yardbirds, quei tre rappresentavano la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. La leggenda narra che al termine della session chiese di dividere le spese con i due squattrinati svuotapiste, tanto da meritare da quel momento l’appellativo di “Led Wallet” (portafoglio di piombo). Da quel giorno prende avvio una carriera stellare che darà vita a nove album e lascerà tracce profonde in una serie pressoché infinita di epigoni. E tuttavia la loro miscela di rock, blues e tradizione folk anglosassone resterà per sempre un vertice irraggiungibile per chiunque.
Il materiale fotografico presente in Led Zeppelin by Led Zeppelin è di quelli che faranno gola ai fan e ai collezionisti, ma rappresenta soprattutto il documento di un’epoca che per il rock è il perfetto equivalente del Rinascimento in ambito storico- artistico. I quattro sono ritratti in momenti pubblici e privati: il sonno di Bonham e Plant in aereo, le sessioni in studio, una sequenza di mirabolanti immagini live, ma anche materiale promozionale, biglietti, locandine, copertine di dischi, un’autentica rassegna grafica dell’estetica degli anni Settanta. E infine le parole dei tre sopravvissuti che commentano gli scatti, restituendocene la cornice. Ecco allora che possiamo ammirare la chitarra sulle cui corde Jimmy Page compose Stairway to Heaven. O conoscere la storia del quadro che compare sulla cover di Led Zeppelin IV, acquistato da Robert Plant presso un rigattiere di Reading e successivamente trafugato dai ladri nella sua casa di campagna del Galles. E ancora il commento di John Paul Jones alla celebre fotografia che ritrae Jimmy Page mentre tracanna una bottiglia di whisky: “Strano, ero io che bevevo Jack Daniel’s nel gruppo. Avrà preso un sorso dalla mia bottiglia, mi pare di ricordare che lui preferisse il Johnny Walker”.
Fino alle immagini della reunion che si tenne a Londra, nell’O2 Arena, il 10 dicembre 2007, in cui Jason Bonham sostituì alla batteria il padre John.” Le prove per l’O2 sono state molto emotive”, ricorda Plant. “Anzi, è stato proprio quello il bello: tornare insieme, per una sola occasione. Non c’era stato niente prima e nessuno ha mai pensato che ci sarebbe stato qualcosa dopo. Dopotutto, ormai, chi eravamo?”.
Già, chi eravamo? È questa la fatidica domanda a cui, cinquant’anni dopo quel giorno di grandi speranze, i tre superstiti del glorioso dirigibile oggi tentano di dare una risposta, attraverso questo libro.