Robinson, 7 ottobre 2018
Intervista a Murakami Haruki: «Sarà la vostra Alice»
Nel suo ultimo romanzo L’assassinio del Commendatore il narratore è ossessionato dal ricordo della sorella morta. Perché quel lutto lo ha segnato così profondamente?
«Esistono almeno tre tipi di ferite emotive: alcune si rimarginano subito, altre impiegano molto tempo a guarire del tutto, altre ancora restano fino alla morte. Credo che uno dei principali compiti della narrativa sia esplorare il più possibile in profondità e in dettaglio le ferite permanenti. Perché sono quelle le cicatrici che, nel bene e nel male, determinano e improntano la vita degli individui. E le storie, quelle veramente valide, riescono a individuare la ferita, a definirne i margini (spesso il diretto interessato non sa neppure che la ferita esista) e agiscono per sanarla».
Il momento più drammatico del racconto è ambientato in una grotta del vento vicino al Monte Fuji. Perché questa scelta?«Le grotte mi hanno sempre affascinato. Ne ho visitate molte durante i miei viaggi, tra cui, appunto, la grotta del vento del Monte Fuji».
Komi dice al fratello che i personaggi di Alice nel Paese delle Meraviglie esistono realmente. Nel racconto — e in tutto il romanzo — realtà e irrealtà non sono nettamente definite, sfumano e si sovrappongono, come avviene in molte altre sue opere. Perché nella sua produzione ricorre sempre questo tema?
«Me lo chiedo anch’io. Quando scrivo romanzi il reale e l’irreale si mescolano spontaneamente, senza che io segua uno schema preciso. Più mi sforzo di scrivere in forma realistica, più emerge l’irreale, inevitabilmente. Per me un romanzo è come una festa aperta a tutti, da cui si può andar via quando si vuole. Credo che tragga la sua forza da questo senso di libertà».
Precipitando nella tana del coniglio — per così dire — Komi scopre un vano nascosto, perfettamente circolare. Quello spazio ha una valenza metaforica? Oppure la bambina entra davvero in un altro mondo?
«Sono fondamentalmente convinto che accanto al mondo in cui viviamo, quello che conosciamo, ne esista uno di cui siamo del tutto ignari, un mondo parallelo sconosciuto, la cui struttura e il cui senso sono inspiegabili a parole. Però esiste, e talvolta ne cogliamo una traccia, per puro caso — un barlume, come quando improvvisamente un fascio di luce illumina per un istante l’ambiente che abbiamo attorno».
Alice nel Paese delle Meraviglie continua a essere un punto di riferimento nel resto del romanzo? Anche lei, come Komi, è ossessionato da Lewis Carroll?
«Dubito che esista un bambino al mondo che non abbia subìto l’incanto di Lewis Carroll. Secondo me il suo fascino deriva dal fatto che descrive un mondo a sé, una realtà parallela che non ha bisogno di spiegazioni; i bambini possono semplicemente viverla».
Nel romanzo risuonano echi anche di altre opere, dal Don Giovanni di Mozart al Grande Gatsby di Fitzgerald, fino a Il castello di Barbablù. Scrivendo trae spesso spunto da altre opere?
«Il romanzo si ispira in origine a uno dei Racconti di pioggia e di luna di Akinari Ueda, risalenti al tardo periodo Edo, ossia la storia di una mummia che torna in vita. Per molto tempo avevo pensato di trasformare quella storia in un romanzo vero e proprio. Avevo anche coltivato l’idea di dedicare una sorta di omaggio a Il Grande Gatsby».
L’assassinio del Commendatore rompe con la sua produzione precedente o prosegue nel suo solco?
« L’assassinio del Commendatore è il primo romanzo narrato tutto in prima persona dopo tanto tempo. In effetti ho capito che mi era mancata moltissimo quella forma di scrittura. Mi è sembrato di essere tornato in un parco giochi conosciuto. Mi sono divertito moltissimo a scrivere il libro. Completarlo minuziosamente, nei minimi dettagli, è stato molto gratificante».