La Stampa, 7 ottobre 2018
Il «Pantalone» di Michele Di Mauro
Mettersi sulle tracce di un personaggio e cercarlo, con ostinazione e sensibilità, indagandone la natura e accudendo il suo lento, graduale generarsi, di battuta in battuta, di gesto in gesto. Anche quando lui cerca di spiazzarti, come una maschera della commedia dell’Arte sfuggita da quel suo mondo di frezzi, lazzi e cartapesta e migrata verso lidi meno cartonati e rassicuranti.
Prendiamo il Pantalone dell’«Arlecchino servitore di due padroni» che, nell’originale di Goldoni era una maschera e nella versione di Valerio Binasco, quella che inaugura, domani, la stagione dello Stabile perde il cliché un po’ burattinesco per farsi uomo in carne e ossa. Va riplasmato, per così dire, vuotando nel calco una materia differente. È l’impresa a cui ha messo mano Michele Di Mauro, che nello spettacolo, appunto, è Pantalone, ruolo di spicco quasi quanto quello del collega Arlecchino che, in questa edizione, è Natalino Balasso.
Ci parli di Pantalone: come lo ha affrontato o, meglio, come lo sta affrontando?
«Meglio, sì, perché i personaggi si modellano molto anche durante le prime repliche o prove alla presenza del pubblico. Gli spettatori ci danno indicazioni fortissime: è così è anche nel caso di Pantalone. Di lui, del suo passato, sappiamo poco. Sappiamo che ha una figlia già grande e in età da marito, ma della madre di questa ragazza non si sa nulla, semplicemente non c’è. Pantalone è sostanzialmente un mercante, un uomo che tratta tutto come se fosse merce, inclusa la figlia. Questo non vuol dire che non provi affetto per lei, ma nel suo modo di vedere il gesto più amorevole è quello di trovare per Clarice un buon partito e darle un futuro sicuro. Ci prova con Federigo, ma poi lui viene ucciso e dunque la promette al figlio del dottore, pronto a fare marcia indietro appena Beatrice, travestita da Federigo, si presenta a casa sua. Diciamo che Pantalone è uno che va avanti e indietro come la pelle degli occhi, con una facilità notevole».
Lui è burbero certo, ma è anche cattivo?
«Cattivo a volte, sicuramente è severo. Con Clarice, ma anche con se stesso. Per lui è fondamentale il fatto di aver dato la sua parola. Ovvero, conta la reputazione: cosa che, guarda caso, conta molto ancora oggi, specie in alcune zone e in alcune classi sociali. Ma c’è, in Pantalone, anche la superficialità di un vecchio per certi versi stupido».
Insomma, il personaggio si delinea attraverso una stratificazione di aspetti che niente ha a che vedere con la bidimensionalità della maschera. Questo vale non solo per Pantalone, ma per l’intero spettacolo di Binasco.
«Certo siamo, se non per i nomi dei personaggi e poco altro, del tutto fuori dalla commedia dell’Arte e piuttosto calati in un’atmosfera da commedia all’italiana anni Sessanta. Si potrebbe farne un film. Il fatto di uscire dal canone implica, tra l’altro, quello di guardare le cose per come realmente stanno: ovvero, la storia, in questo caso, nasce da un omicidio efferato, da un contratto di matrimonio firmato a tavolino da due mercanti che va in malora proprio per quell’omicidio, mentre i soldi giocano un ruolo determinante nell’intera vicenda. Si fa ridere, insomma, frugando nell’abominevole. Nulla di più lontano dalla Commedia dell’Arte, dove i personaggi citano se stessi. Là sono disegnati, qui respirano».
Che farà dopo la tournée dell’Arlecchino?
«Con Valerio Binasco evidentemente è stato un piacere reciproco collaborare, dal momento che mi ha chiesto di bissare con l’ “Amleto” in primavera. Intanto, dal 25 ottobre in tv va in scena «L’allieva», dove interpreto il commissario Calligaris. Poi, e mi fa molto piacere, lavorerò per la prima volta con Antonio Latella».