Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2018
Vi racconto Toscanini uomo e artista
Sono stato sposato due volte e sono padre di due figli, ma il rapporto più lungo che ho avuto della mia vita è stato con un uomo, un uomo che non ho mai conosciuto. Dall’adolescenza fino alla vecchiaia, che sento arrivare, io, un Baby Boomer dell’Ohio, ho passato molta parte della mia esistenza a studiare e a cercare di interpretare la vita di un italiano nato nell’Ottocento, il cui mestiere era lo studio e l’interpretazione di opere altrui.
Il primo incontro con Toscanini
Il mio strano viaggio toscaniniano ebbe inizio fra il 1959 e il 1960, quando avevo tredici anni ed ero già un musicofilo accanito. La domenica, quando i miei nonni e alcuni dei loro innumerevoli fratelli e sorelle – tutti nati negli shtetl ebraici dell’impero dello zar di tutte le Russie – venivano a casa dei miei genitori a Cleveland, li assillavo perché venissero a vedere la raccolta di ritratti di compositori e musicisti famosi che avevo ritagliato da varie riviste e attaccato alle pareti della mia piccola camera, e persino ad ascoltare per qualche minuto uno degli lp che avevo recuperato. Una domenica il prozio Louie studiò i ritratti attraverso gli occhiali dalle lenti spessissime, additò una foto di Ignacy Paderewski, dall’aspetto molto distinto, e disse lapidariamente: «Antisemita». Poi indicò Toscanini, che appoggiava la guancia sinistra sulla mano sinistra mentre guardava tristemente la macchina fotografica, ed esclamò: «Amico degli ebrei!». Non ebbi nemmeno il tempo di chiedergli la ragione di quelle opinioni: era già scappato dalla mia camera e tornato dagli adulti.
La svolta milanese
Nel 1975 mia moglie e io ci trasferimmo a Milano: io avevo ottenuto qualche modesto incarico come direttore d’orchestra in Canada, e per approfondire le tecniche di direzione dell’opera avevo chiesto e ricevuto il permesso di assistere alle prove alla Scala, lei invece studiava clavicembalo al conservatorio Giuseppe Verdi. Nella primavera successiva, ricevetti una lettera inaspettata da un dirigente della casa editrice londinese Weidenfeld & Nicolson, il quale mi chiedeva se potessi essere interessato a scrivere la biografia di Toscanini.
Fino a quel giorno le mie esperienze professionali come scrittore si erano limitate a copioni radiofonici e qualche articoletto, e non avevo nessuna qualifica come studioso. Se fossi stato io a presentare a un’importante casa editrice il progetto di una biografia di un grande personaggio del mondo della musica, i miei interlocutori mi avrebbero riso in faccia. Invece, era stato un importante editore a venire da me, e proprio mentre ero nella città dove Toscanini aveva vissuto per gran parte della sua vita. Molti collaboratori, parenti e amici del maestro vivevano ancora a Milano; alcuni archivi e biblioteche possedevano materiali essenziali per le mie ricerche; Parma, dove Toscanini era nato e cresciuto, nonché Torino e diverse altre città che avevano giocato ruoli importanti nella sua vita erano praticamente a portata di mano; la mia conoscenza dell’italiano, inoltre, migliorava di giorno in giorno.
Mi accinsi all’impresa nonostante molta parte degliarchivi fosse inaccessibile, sigillata in un fondo della Public Library di New York, e il libro fu pubblicato nell’autunno del 1978. Ebbe un succès d’estime che mi portò a inviti di vari editori a scrivere altri libri, e dopo qualche anno rinunciai ai miei tentativi di direzione d’orchestra per concentrarmi sulla scrittura. Per cui, in un certo senso, il più celebre direttore d’orchestra del mondo fu colui che da morto (e con grande intelligenza) mi strappò dalla direzione d’orchestra per una carriera molto più consona a uno che ama esprimersi ma detesta dare ordini.
Gli archivi di famiglia
Come scrittore mi sono concentrato su tantissimi argomenti, anche non musicali, ma la Toscanini Story è riemersa molte volte. Ho scritto articoli e documentari radiofonici e televisivi su vari aspetti della sua vita e del suo lavoro, ho curato mostre a lui dedicate e ho curato un libro di saggi su di lui e la raccolta delle sue lettere. Circa una decina di anni fa, la pianista Eve Wolf, la mia nuova compagna, e Walfredo Toscanini (nipote del Maestro), divenuto nel frattempo mio carissimo amico, mi incoraggiarono a scrivere una biografia completamente nuova, poiché le migliaia di documenti della Public Library erano divenuti accessibili; a questi poi si aggiungeva un centinaio di nastri di conversazioni di Toscanini con parenti e amici nei suoi ultimissimi anni, registrate a sua insaputa da Walter (il suo primogenito). Walfredo aveva conservato quei nastri in cartoni sotto il suo letto per decenni, fino a che, nel 2007, non li fece digitalizzare. Infine, nel 2009-10, ammalatosi di leucemia, Walfredo mi chiese di studiare i documenti e la memorabilia che aveva conservato, in uno stato di totale disordine, nella sua casa e persino nel suo garage di New Rochelle, nei pressi di New York, proprio come avevo studiato dieci anni prima i materiali custoditi nella casa maremmana della cugina Emanuela Castelbarco.
Walfredo morì l’ultimo giorno del 2011, a ottantadue anni, ma, spronato dalle sue figlie, continuai a studiare i suoi archivi. Questo mi permise di dare compimento – per quanto vi si possa dare un compimento – alle ricerche che avevo sporadicamente portato avanti per tutta la mia vita, e di fare un ritratto di Toscanini molto più ricco e complesso di quarant’anni prima. La mia nuova biografia fu pubblicata nel mondo anglofono nel 2017, l’anno del 150° anniversario della nascita del maestro, e ora, nel 2018, esce l’edizione italiana.
Negli anni ’90, dopo aver finito la stesura di una biografia di Artur Rubinstein – biografia che comprendeva, tra molto altro, alcune informazioni che rivelavano gravi incomprensioni tra lui e la sua famiglia –, Nela, sua vedova, mi regalò la copia di un libro di ricette che aveva pubblicato alcuni anni prima. Sul risguardo scrisse: «A Harvey, che di noi sa molto di più dello stretto necessario!».
Il mestiere del biografo
Se Carla Toscanini, la moglie del maestro, avesse potuto leggere le mie biografie del marito, non avrebbe sicuramente reagito con tale simpatia. Forse le sarebbero piaciute le mie ricerche sulla vita pubblica, sulle conquiste professionali e sulla generosità personale, ma, come la maggior parte delle donne della sua generazione (Carla nacque nel 1877), sarebbe stata inorridita dalla pubblicazione dei dettagli della loro vita matrimoniale e delle avventure erotiche del maestro. D’altronde l’opinione dello stesso Toscanini su questo argomento era ben chiara: «Perché dunque ficcare il naso nelle alcove altrui?» aveva scritto a una delle sue amanti sulla questione se pubblicare o meno informazioni sulla vita amorosa di Verdi. «Giudicate l’uomo e l’artista» aveva detto ad altri due interlocutori. «La vita sua onesta e illibata come l’arte sua… ma per carità, fermatevi sulla soglia della camera da letto.»
Oggi nessun biografo serio può accettare una tale restrizione. Le relazioni personali, comprese quelle sessuali, non sono sconnesse dagli aspetti pubblicamente visibili di un’esistenza, soprattutto nelle vicende di persone che hanno fatto cose straordinarie (aggiungo che è per questo motivo che non ho mai voluto scrivere biografie di persone viventi, non voglio né causare pena né mentire). Le motivazioni interiori, eros compreso, sono il motore delle conquiste professionali. Con ciò non voglio dire che i biografi, per quanto possano scavare nelle vite pubbliche e private dei loro soggetti e provare a presentare ritratti tondi e imparziali di essi, debbano convincersi che i loro risultati siano corretti. Eppure bisogna fare il tentativo di passare al setaccio tutti gli ingredienti, soppesarli e mescolarli con giudizio. Michael Holroyd, il magistrale biografo di George Bernard Shaw, ha scritto che i biografi non devono limitarsi ad assemblare «fatti solidi in ordine cronologico»; devono anche «rendersi conto delle fantasie, delle bugie, dei sogni, delle delusioni e delle contraddizioni dei loro soggetti, delle mutabili reputazioni pubbliche e del percorso di ricordi fuorvianti. Non devono inventare ma possono speculare».
A proposito del musicista Toscanini: amo e ammiro le sue registrazioni, più di quelle di qualsiasi altro direttore, ma non sono mai stato uno di quei toscaniniani fanatici – un gruppo ancora vivo e soprendentemente tenace – che sembrano ritenere, al contrario di quanto lui stesso riteneva, che tutte le sue interpretazioni e registrazioni siano perfette. È la storia della sua vita, della sua evoluzione artistica e umana, che ha continuato e continua ad affascinarmi e che è uno dei fili conduttori della mia di vita.
Scrittore e storico della musica, docente del Curtis Institute of Music di Filadelfia