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 2018  ottobre 07 Domenica calendario

30 settembre 1938, a Monaco le democrazie si piegano a Hitler

Questo articolo è stato scritto sette giorni fa, il 30 settembre 2018. Alla maggior parte dei lettori la data dice poco o nulla. Ma per chi ama la democrazia e la pace essa rievoca un evento funesto. Perché esattamente ottant’anni fa, a Monaco, le democrazie occidentali si piegarono davanti all’arroganza di Hitler ponendo così le basi per la più sanguinosa catastrofe della Storia. Ecco come andò. 
IL PROBLEMANell’autunno del 1938 Hitler aveva già dato prova del suo insaziabile appetito e del suo disprezzo per i trattati internazionali. Aveva rimilitarizzato la Renania, violando l’impegno di Versailles, e aveva occupato l’Austria, dopo averne minato la pace interna con le sue squadre violente. Nel frattempo aveva iniziato una forsennata opera di produzione bellica e di coscrizione obbligatoria: entro due anni il suo esercito avrebbe superato per numero ed equipaggiamento quello francese, considerato allora il più efficiente del mondo. Le potenze occidentali fingevano di non vedere e di non capire. Solo Winston Churchill tuonava contro l’inerzia del suo governo davanti alle mire aggressive del Fuhrer. Ma nessuno lo ascoltava. I suoi compagni di partito, da Chamberlain ad Halifax, gli davano del visionario guerrafondaio. In quel fatidico settembre, Hitler pose in modo perentorio il problema dei Sudeti, una regione della Cecoslovacchia abitata da una maggioranza di lingua tedesca. Quei luoghi erano strategici, perché costituivano la fortificazione naturale e militare che proteggeva la piccola Cecoslovacchia dall’ingombrante vicino. Cederli, avrebbe significato aprir le porte a un invasione. Il governo ceco respinse l’ultimatum del Fuhrer, pur offrendo alla regione un’ampia autonomia amministrativa. Hitler non si accontentò, e minacciò l’intervento militare.
IL BLUFFEra un bluff azzardato. L’esercito cecoslovacco era abbastanza potente e armato da opporre, dietro quelle fortificazioni, una resistenza vigorosa, ma soprattutto godeva di un’alleanza militare con la Francia – e di riflesso con la Gran Bretagna – che ne aveva assicurato l’assistenza in caso di aggressione. Se Hitler avesse impiegato tutte le trenta divisioni di cui allora disponeva contro le altrettante del paese aggredito, avrebbe scoperto tutto il fianco occidentale, dove la linea Sigfrido era poco più che un fossato. Le ottanta divisioni francesi sarebbero arrivate a Berlino entro una settimana. I generali tedeschi lo sapevano, e avevano già preparato un piano per spodestare il dittatore. Se Hitler avesse davvero dichiarato una guerra suicida, loro lo avrebbero arrestato e portato davanti a una corte marziale. I piani erano già pronti, e quasi tutti i vertici erano d’accordo. 
Ma Chamberlain e Daladier erano terrorizzati dal ripetersi di un nuovo conflitto: erano passati solo vent’anni da quando i loro Paesi avevano lasciato sul terreno quasi tre milioni di morti. Per di più, assecondando quel wishing thinkingche tanti disastri ha provocato tra gli individui, preferivano credere che Hitler si sarebbe accontentato dei Sudeti. Dopo una serie di pellegrinaggi umilianti ed inutili a Berchtesgaden, Chamberlain chiese a Mussolini di intervenire come mediatore. Il Duce fremeva dal desiderio di umiliare le odiate plutocrazie occidentali, ma non voleva la guerra: l’Italia era impreparata, e lui cominciava a temere la supremazia dell’alleato tedesco. Accettò l’incarico e promosse l’incontro che si svolse a Monaco, tra il 29 e il 30 settembre. Mentre il presidente cecoslovacco, Edvard Bene, attendeva fuori come un esaminando tremebondo, i quattro grandi decisero lo smembramento della Cecoslovacchia, la cessione dei Sudeti, e il trionfo di Hitler. I generali tedeschi, increduli ma soddisfatti, sospesero il colpo di stato. Il Duce si godette il momento di gloria, mitigata dall’irritazione per l’eccessivo tripudio pacifista degli italiani.
IL PREGIUDIZIOLa capitolazione di Monaco non determinò solo il sacrificio della Cecoslovacchia, ma fu una delle cause scatenanti della seconda guerra mondiale. Essa rafforzò in Hitler l’ingannevole pregiudizio che le democrazie occidentali, infiacchitesi nel lusso e nell’ozio, avrebbero subìto senza reagire le sue progressive e avide incorporazioni. Non solo. Smentendo i timori dei numerosi generali antinazisti, li ricondusse nell’alveo protettivo di un Capo che si rivelava più lungimirante e abile di loro. Alti ufficiali come Halder, Witzleben, Hoepner e Von Treskow rientrarono disciplinatamente nei ranghi, e quando le loro truppe sbaragliarono in poche settimane prima la Polonia e poi la Francia ogni loro dubbio sulla genialità del Fuhrer fu definitivamente fugato. Li ritroveremo quasi tutti sei anni dopo, impiccati o suicidi dopo il fallito attentato del 20 Luglio: nel frattempo l’Europa era stata devastata, e la Germania era avviata verso la distruzione totale.
Infine, Monaco fu tragica per l’Italia. Chamberlain si era infatti sbagliato su Hitler, credendolo accomodante, e Hitler si era sbagliato ancor di più su Chamberlain, immaginandolo vile. Ma Mussolini si era sbagliato su entrambi: non capì di esser diventato lo scodinzolante sciacallo della Germania, e di aver di fronte una Gran Bretagna ben diversa da quella che si immaginava. Quando, pochi mesi dopo, Hitler estese l’occupazione all’intera Boemia-Moravia, il mite gentiluomo inglese reagì assicurando la Polonia che l’ Inghilterra sarebbe intervenuta in caso di aggressione. Lo fece – scrisse Churchill – nel modo e nel momento meno adatto, ma lo fece. E quando un anno dopo Hitler invase la Polonia, il Governo di sua Maestà tenne fede alla parola data, ed entrò nel conflitto. L’Italia si volle accodare al padrone tedesco, e fu la nostra rovina.
UNA TREGUA PRECARIALa lezione conclusiva di Monaco fu molto semplice: il pacifismo parolaio e illusorio è il modo più sicuro di favorire una guerra. Noi possiamo provare una calda simpatia per il fanciullesco sorriso di Chamberlain mentre agita il foglio dell’accordo con Hitler, ma siamo macerati dalla rabbia e dal dolore quando riflettiamo che, in nome di quella tregua precaria, furono assicurati sei anni di dominio a un dittatore che se ne servì per semidistruggere un continente e sacrificare milioni di vite.
Se vogliamo guardare la natura umana per quella che è, e non per quella che vorremmo che fosse, dobbiamo ricordare che la giustizia, assieme alla bilancia, regge la spada, e che la buona volontà, senza l’assistenza di un’adeguata forza militare, è una velleitaria manifestazione di pericoloso infantilismo. La guerra, come le malattie e la stupidità, è una dolorosa eredità del peccato originale, o della nostra natura ferina, o di entrambe le cose: comunque sia, come insegnava Platone, nessuno tranne i morti ne vide la fine. E Monaco sta sempre lì ad ammonirci che quando si sacrifica l’onore per salvare la pace, si finisce per perdere sia l’uno che l’altra.