7 ottobre 2018
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Biografia di Paolo Savona
Paolo Savona, nato a Cagliari il 6 ottobre 1936 (82 anni). Economista. Politico. Ministro per gli Affari europei nel governo Conte (dal 1° giugno 2018). Già ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato nel governo Ciampi (1993-1994). «Nel corso della sua carriera Savona è stato presidente del Fondo interbancario di tutela depositi, di Impregilo, Gemina, Aeroporti di Roma, del Consorzio Venezia Nuova, consigliere d’amministrazione di Rcs e Tim Italia, amministratore delegato della Banca nazionale del lavoro, vicepresidente di Capitalia e in seguito presidente di Banca di Roma, ministro dell’Industria di Ciampi […] ma anche capo del dipartimento delle Politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri con Berlusconi, membro di varie commissioni Ocse e di una commissione sulla Riforma dei servizi segreti italiani e, infine, tra i fondatori della Luiss, prestigiosa università per i migliori ragazzi di buona famiglia, nonché presidente della Fondazione Ugo La Malfa. Scoprire ora che il salotto buono della borghesia italiana per circa 60 anni avrebbe covato una tale serpe in seno, permettendogli di percorrere il cursus honorum riservato ai suoi figli più fedeli, ma senza rendersene conto, fa rabbrividire o, al contrario, sorridere» (Marco Veruggio). «Passo per uno dei pochi economisti istituzionali anti-europeisti, ma non è così. Io sarei per l’Europa unita: per questo non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles» (a Pietro Senaldi) • «Mio nonno paterno, Raffaele, era “maestro d’ascia”, costruiva barche in legno. […] Mio nonno materno, Antonio Romagnino, […] era tipografo ed ebbe la sua officina incendiata per aver stampato volantini antifascisti. […] Mio padre, Francesco, era ufficiale di marina in epoca monarchico-fascista, alla cui filosofia di vita restò legato, con mio disappunto, ma anche sommo rispetto per la sua onestà intellettuale. Io sono figlio dell’epoca liberaldemocratica, e gli scontri con lui furono costanti. […] Mia madre, Letizia Romagnino, compensava la severità paterna, senza però mostrare accondiscendenza nell’educazione, come le aveva insegnato sua madre Teresa Melis. […] Subito dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale la mia famiglia ha lasciato Cagliari per cautela contro gli eventi bellici, rivelatasi fondata, perché poco dopo la nostra casa fu distrutta da un bombardamento. Abbiamo peregrinato per la Sardegna, prima a Sassari poi a Osilo, un piccolo paese dell’entroterra, mentre mio padre si trovava alla base navale di La Maddalena, dove lo abbiamo raggiunto verso la fine della guerra. […] Al rientro a Cagliari, la mia famiglia ha vissuto tempi difficili, come tutti. […] Dei miei anni da adolescente ricordo che ero sempre un po’ agitato, soprattutto in confronto ai miei fratelli, calmi e riflessivi. […] Scaricavo la mia vitalità in eccesso non nello studio, come avrei dovuto, ma nello sport, che praticavo in varie forme. […] Le mie carenze nell’impegno scolastico venivano colmate dagli ottimi insegnamenti e dolorose tirate d’orecchio di mio cugino Antonio Romagnino (omonimo di mio nonno), un fine letterato, autore di saggi istruttivi, preside di liceo e fervente liberale; fu segretario del leader politico del Partito liberale italiano Francesco Cocco Ortu. Mi insegnò i primi rudimenti del liberalismo filosofico, suggerendomi di leggere Luigi Einaudi. Quando manifestai in aula la mia intemperanza in forma ginnica (scavalcai il banco invece di uscire normalmente di lato), l’insegnante di lettere […] si spaventò talmente che chiese e ottenne dal preside […] la mia sospensione da scuola per una settimana. Mio padre mi fece un pacato discorso: studiare non è obbligatorio, se non piace; se vuoi ti posso trovare un posto da qualche parte e ti guadagnerai da vivere. Capii l’antifona e cambiai registro: meno sport e più studio. […] Una volta diplomato in ragioneria, […] decisi di iscrivermi all’università per laurearmi in Economia e commercio. […] Mio padre mi ripetette lo stesso ragionamento, sia pure con una diversa e più incoraggiante premessa: se desideri studiare, sono felice, ma devi trovare un lavoro che ti mantenga, perché sto invecchiando e non posso mantenerti. […] Accettai un incarico di rappresentante di materiali per l’edilizia in giro per la Sardegna e mi impegnai contemporaneamente nello studio. […] Nei miei giri per l’isola allo scopo di visitare i clienti mi fermavo sotto un albero e leggevo una capitolo dei testi utili per superare gli esami e li ripetevo a memoria mentre guidavo la mia Giardinetta Fiat con le strutture di legno (una raffinatezza d’altri tempi). Mi presentavo per sostenerli solo quando ero certo di essere preparato. […] Subito dopo la laurea ho avuto due brevi esperienze: un incarico di insegnamento di diritto ed economia nella stessa scuola dove mi ero diplomato, l’istituto Pietro Martini di Cagliari, e quello di sottotenente presso il reggimento di fanteria da montagna “Leoni di Liguria”, fondato da Giuseppe Garibaldi, la cui caserma era a Sturla, una graziosa periferia di Genova. In entrambe ho fatto le mie prime esperienze di governo delle persone, che si rivelarono utili per il futuro. […] Queste iniziali esperienze mi avevano fatto salire più preparato sull’unica vera nave-scuola dove veniva impartita un’istruzione simile a quella dei moderni dottorati esteri di Economia: il Servizio studi della Banca d’Italia. Il superamento del concorso richiese due esami obbligatori orali e scritti, diritto ed economia, e uno facoltativo, di statistica, che ovviamente sostenni e superai. […] Presi servizio nell’ottobre 1963 a Roma, al 2N di via Nazionale 91, sede della nostra banca centrale. Avevo 27 anni esatti». «Quando era un giovane ricercatore, l’allora governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, lo volle in Banca d’Italia come proprio sparring partner intellettuale. Rispetto alla teorie keynesiane, che allora erano dominanti, Savona era considerato un eretico, poiché seguace del monetarista Milton Friedman, un liberista americano che i keynesiani di casa nostra, gente dalla spesa pubblica facile, vedevano come il fumo negli occhi. Anche Carli era keynesiano, ma da uomo intelligente e di ampie vedute capì che troppa spesa pubblica avrebbe finito con il creare dei problemi seri al bilancio dello Stato. Il che si è puntualmente verificato» (Tino Oldani). «Nel 1975 vince un concorso all’Università di Cagliari. La sua carriera di "tecnico" al servizio della politica comincia nel 1976, quando Carli, nominato presidente della Confindustria, lo porta con sé proponendogli il ruolo di direttore generale. In Confindustria comincia ad affiorare quel "caratterino" che […] Indro Montanelli gli ha pubblicamente attribuito. […] Franco Mattei, direttore generale uscente nel 1976 (tornò dopo che Savona se ne era andato, nel 1981), parlava agli amici di lui come di un grande studioso e un bravo parlatore ma pessimo organizzatore. Un giudizio, questo, condiviso per la verità da molti altri che hanno avuto a che fare con lui in altre situazioni. Nel 1980 Savona lasciò l’incarico in Confindustria e assunse la presidenza del Credito industriale sardo. […] Quando divenne segretario generale della Programmazione, nel 1982, al tempo in cui La Malfa era ministro del Bilancio, ottenne di non lasciare la presidenza del Credito industriale sardo nonostante la legge fosse molto precisa e prevedesse una totale incompatibilità del nuovo incarico con qualunque altro. Quando, nel 1990, fu nominato direttore generale e poi amministratore delegato della Bnl stabilì un primato: riuscì a ricoprire questi incarichi nella più grande banca italiana senza essere stato mai assunto. Anche queste poltrone, infatti, prevedevano una totale incompatibilità con altri incarichi. Così riuscì a rimanere in una situazione singolare finché non passò […] alla presidenza del Fondo interbancario di garanzia, nomina che invece non era incompatibile con altri incarichi. […] Di area repubblicana, Savona ha sempre avuto come punto di riferimento nel Pri Giorgio La Malfa, che conobbe negli anni Sessanta durante un periodo di studi in Usa e di cui divenne amico personale. Ma non ha mai disdegnato l’amicizia anche di esponenti democristiani, tra cui il suo predecessore all’Industria, Giuseppe Guarino, e, in passato, Paolo Cirino Pomicino, al tempo in cui questi era al Bilancio (fu capo dello staff dei consiglieri economici)» (Adriano Bonafede). Molto stretto anche il rapporto con Cossiga. Al tempo del Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992), «quando Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica (di cui Savona era consigliere economico), si rivolse a lui per un parere sulla firma del Trattato e sull’adesione all’euro, lo sconsigliò di procedere, usando gli argomenti contenuti in un appunto preparato per l’allora ministro Guido Carli. “In essi – scrive Savona – veniva sostenuta l’infondatezza teorica e la pericolosità pratica dei parametri di Maastricht, mentre gli italiani e la loro politica non erano preparati ad accettare i vincoli dell’euro”. Savona credette così di aver convinto Cossiga dell’opportunità “di invocare la clausola dell’opting out per avere un ampio lasso di tempo per preparare il Paese ad adempiere al gravoso impegno della stabilità del cambio”, anche considerando “i vincoli imposti alla politica fiscale con l’Addendum al Trattato”. Ma non andò così. Oltre a Savona, Cossiga consultò anche Carli, appunto, e Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia, che invece lo convinsero della necessita di aderire al Trattato» (Roberta Amoruso). «All’epoca in cui era ministro dell’Industria di Ciampi, […] Savona si scontrò con personaggi come Romano Prodi, Franco Bernabè, Sabino Cassese, a proposito della privatizzazione dell’Iri, in particolare di alcuni grandi gruppi come Stet ed Enel, della gestione dell’Eni e della regolamentazione del settore assicurativo. Che sia stato, come suggerisce qualcuno, per la sua presunta vicinanza a Enrico Cuccia, allora padre-padrone di Mediobanca, che sia stato invece per meri convincimenti di politica economica, Savona si distinse come alfiere di un modello di controllo del mercato da parte di pochi grandi soggetti privati – Mediobanca appunto, Fiat, Pirelli –, in particolare sui “gioielli di famiglia” delle partecipazioni statali, contro la logica della liberalizzazione e dell’azionariato diffuso sostenuta da Prodi. Con lo Stato che rimane comunque protagonista e mantiene un ruolo forte. È la polemica tra i sostenitori del “nocciolo duro” e quelli della public company (tra cui Prodi, appunto), che furoreggiò in uno scorcio degli anni ’90» (Veruggio). Tornò a operare in ambito governativo dapprima nel 2005-2006, in qualità di capo del dipartimento per le Politiche comunitarie del governo Berlusconi III, e poi nel 2018, quando, alla fine di maggio, fu proposto quale ministro dell’Economia e delle Finanze del costituendo governo Conte dal M5s di Di Maio e – soprattutto – dalla Lega di Salvini. Il suo nome incontrò però subito forti resistenze al Quirinale. «Competenza ne ha da vendere. Sulla sua determinazione non si discute. Quanto alla schiena, è diritta come un fuso. […] Allora, di che cosa ha paura il presidente della Repubblica? Senza dubbio pesano le durissime critiche ai parametri di Maastricht (il limite del 3 per cento nel rapporto tra disavanzo di bilancio e prodotto interno lordo e il tetto del 60 per cento per il debito pubblico) considerati da Savona “senza alcun fondamento logico ed empiricamente rozzi”. Nel giudizio di Sergio Mattarella contano molto le critiche serrate quanto distruttive nei confronti dell’euro così come è stato costruito e gestito. E poi c’è il “piano B”, cioè la necessità di preparare tutto l’armamentario economico-politico necessario per gestire un’uscita repentina dalla moneta unica. Ma in tutti questi casi siamo di fronte alle analisi di un professore, alle considerazioni spesso amare di un economista che ha visto i processi dall’interno, e non da una eburnea torre accademica. Quel che allarma davvero il Quirinale, secondo fonti ben informate, è il pericolo che Savona entri subito in contrasto con la Banca d’Italia e con la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. […] Savona imputa a Ignazio Visco, in modo particolare, di non essersi opposto alle regole sul bail-in bancario, e soprattutto, “cosa assai grave”, di aver “omesso di informare il Parlamento dell’errore che stava compiendo”. Quanto a Draghi, la sua politica monetaria attiva ed espansiva (che in teoria Savona condivide) non si è trasmessa all’economia reale, e nemmeno lui è sfuggito alla dittatura tedesca che ci ha fatti “scivolare in una condizione coloniale”» (Stefano Cingolani). Nonostante la clamorosa impasse istituzionale, Savona non accennò a ritirare la propria candidatura, lasciando che su di essa si giocasse la sorte del nuovo governo, per acconciarsi infine – adeguandosi a quanto deciso da Salvini e Di Maio, giunti a più miti consigli di fronte alla prospettiva di un esecutivo guidato da Cottarelli sotto la supervisione di Mattarella – ad accettare il ben più modesto dicastero degli Affari europei, suggerendo anche il nome del futuro ministro Tria, non senza polemizzare apertamente col capo dello Stato: «Ho subìto un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro, e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio comunicato. […] Nell’epoca dei “like” o “don’t like”, anche la Presidenza della Repubblica segue questa moda». Da ultimo, a Bruxelles, nel pieno del dibattito sul rispetto della soglia del deficit da parte del governo italiano, è parso assumere un atteggiamento differente. «È un dato di fatto che, forse per la prima volta, il ministro per gli Affari europei marca le distanze dall’ala “politica” dell’esecutivo per avvicinarsi a quella “tecnica”. “So benissimo che cosa significano i numeri. Non sono un politico…”. La missione di Savona, insomma, adesso sembra diventata quella di mettere pace tra il governo Conte e l’Europa. “La mia idea è che non esiste né deve esistere alcuna ipotesi di uscire dall’euro”, è il suo ragionamento. […] Agli occhi di Bruxelles, dopo l’altro giorno l’autore del “piano B” è come se avesse cambiato volto. Un volto più rassicurante. Talmente rassicurante da aver lasciato, agli occhi maliziosi di alcuni interlocutori, l’impressione che, sì, in fondo, se Tria davvero lasciasse il ministero dell’Economia, Savona potrebbe ritentare la corsa verso gli uffici di via XX Settembre. Ma non è né più né meno che una suggestione. Per ora» (Tommaso Labate) • Nel 2018 ha pubblicato presso Rubbattino Come un incubo e come un sogno. Memorialia e moralia di mezzo secolo, testo tra l’autobiografico e lo storico-economico, con notevoli spunti polemici • Sposato, due figli • «Nel 1963, in qualità di sottotenente di complemento nel Reggimento Leoni di Liguria (a Sturla, Genova, “zona politica calda”), ho svolto esercitazioni nell’ambito del Piano Op (Ordine pubblico), nell’ipotesi in cui lo Stato fosse stato attaccato da forze eversive. Il compito a me assegnato era quello di occupare, o di liberare nel caso in cui fosse stata occupata dai ribelli, la sede Rai di Genova. Nel 1992 appresi direttamente da Francesco Cossiga i motivi dell’esistenza dell’organizzazione “Gladio”, i cui compiti si spingevano anche oltre il Piano Op, ma che aveva lo stesso scopo del mio “piano B”: prepararsi al peggio per tutelare la sicurezza della Stato, dovere minimo di ogni appartenente ai gruppi dirigenti di un Paese per difendere i princìpi costituzionali su cui poggia la convivenza della società civile. […] Un Paese serio dispone di piani di emergenza per ogni eventualità». «Non esiste un’Europa, ma una Germania circondata da pavidi». «La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente. Per tre volte l’Italia ha subìto il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica, con la Triplice alleanza del 1882, il Patto d’acciaio del 1939 e l’Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?» • «Sono un sughero sardo: inaffondabile».