Tuttolibri, 6 ottobre 2018
L’importanza della cornice
Niente di più banale di una cornice, buona cosa di pessimo gusto, come una tovaglietta mal ricamata o un souvenir polveroso. Niente di più importante della cornice, oggetto semiotico e dispositivo strategico che supera spesso i suoi compiti istituzionali – servire il quadro – per farsi metafora di situazioni e fenomeni ben più grandi di lei. La cornice, in linea di principio, è un semplice congegno che delimita uno spazio – rettangolare, quadrato, rotondo o chissà come –, segnalando che cosa è semplice parete e che cosa invece può chiamarsi quadro, dunque immagine, dunque opera d’arte. Grazie a essa, gli spazi in gioco divengono due, anzi tre: il primo è l’immagine, su cui si concentra lo sguardo dello spettatore; il secondo è tutto il resto, ossia tutto ciò che non possiamo dire immagine, ininteressante e quotidiano; il terzo è la cornice stessa che, in senso stretto, non sta né nel primo né nel secondo spazio, garantendo surrettiziamente l’esistenza di ambedue.
La cornice è una componente artistica? Assolutamente no, almeno in prima istanza. È faccenda d’ogni giorno? Nemmeno, ovviamente. Essa è piuttosto quell’artificio che, separando il mondo della quotidianità da quello dell’artisticità, li mette al tempo stesso in contatto. Con tutte le variazioni, i giochi, i trompe l’oeil, le contraddizioni e le negazioni del caso. Gli artisti hanno sempre giocato con la cornice, inserendola come parte dei loro dipinti, oppure usandola come varco da cui far fuoriuscire dei peculiari personaggi, oppure ancora risucchiandola come finestra dalla quale affacciarsi per ammirare paesaggi dei più vari e scene d’ogni tipo. Oppure, infine, sbarazzandosene del tutto per negare, con essa, una certa idea di mimesi, se non la rappresentazione tout court, bestia nera della maggior parte di operazioni artistiche novecentesche e oltre.
Non è un caso del resto – come mostra l’eccezionale antologia di testi critici a essa dedicati messi insieme da Daniela Ferrari e Andrea Pinotti – che giusto quando gli artisti hanno iniziato a emanciparsi della cornice (e di tutto ciò che comporta in termini estetici e comunicativi), essa sia divenuta oggetto di riflessione di una pletora di studiosi, filosofi, sociologi, scrittori e semiologi: da Simmel a Ortega, da Bloch a Shapiro, da Derrida a Arnheim, da Marin al Gruppo µ a Stoichita e ai tanti altri che la bibliografia finale segnala con accuratezza. L’oggetto, appunto, sembra banale ma, a ben pensarci, si tratta con buona probabilità del motore fondamentale di ogni produzione di senso. Se qualcosa ha un significato e un valore, sappiamo, è perché si separa da un’altra, che avrà significato e valore opposti. La lingua funziona così, la società pure.
Svolgono esattamente lo stesso ruolo della cornice difatti, in altre sfere dell’arte e della comunicazione, il sipario teatrale, la copertina dei libri, le sigle televisive, i titoli di testa e di coda al cinema e così via; anche dire «pronto» al telefono è incorniciare la conversazione. Del resto, come nota Shapiro, sembra che la cornice del quadro sia nata anche a imitazione delle mura della città. Come queste delimitano lo spazio urbano e lo difendono dalle incursioni esterne, analogamente incorniciare un’opera è decretarne il valore artistico, la pregnanza comunicativa, dettando allo spettatore la corretta direzione dello sguardo e, in tal modo, proteggendola da occhi vaganti e insicuri, da incursioni indiscrete, da divagazioni pericolose.
Dalla cornice passiamo così alla frontiera, e siamo all’oggi. Se nel saggio introduttivo della Ferrari apprendiamo un sacco di cose interessanti circa l’origine e gli sviluppi della cornice nella storia dell’arte (come per esempio la frequente pratica ottocentesca del tagliare i quadri, in molte gallerie, per inserirli a posteriori in cornici a cassetta di egual misura), in quello, più filosofico, di Pinotti il discorso s’allarga. Da una parte, viene osservato come la presunta assenza della cornice nella contemporaneità non è poi così certa: i musei, in fondo, non fanno altro che isolare i quadri dal loro contesto d’origine, proteggendoli da eventuali insidie, in qualche modo sacralizzandoli. D’altra parte, la questione della circoscrizione, e della sua trasgressione, sembra essere oggi uno dei fenomeni, e dei problemi, più importanti e delicati del mondo attuale. Non si fa altro che alzare muri, erigere frontiere, costruire improbabili enclave. E non si fa altro che scavalcare, superare, scalare, sgusciar via. La geopolitica attuale è una serie di immagini in cornice, una pinacoteca di opere dove c’è chi vi si racchiude per difendere i propri privilegi, e c’è chi vi resta fuori, disperato, senza arte né parte. Interi popoli stanno in cornice, interi altri fanno da parete. Urge un gallerista capace.