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 2018  ottobre 06 Sabato calendario

Intervista a Gianni Pacinotti “Gipi”

Ieri mattina, nella piazza della Cattedrale di Ferrara (sul sagrato del Duomo), un signore è salito su un palchetto, s’è armato di fogli e leggio, e ha cominciato a leggere. 34361 nomi. Le persone che, dal ’93 ad oggi, hanno perso la vita cercando di raggiungere l’Europa. Quel signore si chiama Gianni Pacinotti; in molti lo conoscono come Gipi. Fa il fumettista e il regista, è un artista delle parole e delle immagini. Ha girato un film, l’anno scorso. Si intitola  Il ragazzo più felice del mondo, prodotto dalla Fandango, arriva in sala a novembre. All’inizio doveva essere un documentario. Poi è cambiato. Perché?«Mentre lavoravo, ho capito che il documentario non era l’idea migliore. Volevo più libertà. E il film mi si è trasformato tra le mani. A un certo punto ho scritto una specie di script dove per la prima volta comparivano anche gli altri protagonisti, e tutto ha preso questo taglio quasi comico».Era insoddisfatto di quello che aveva girato?«Ricordo che avevamo un premontato. E guardandolo mi dissi: è molto carino. Ma se a 54 anni faccio una roba di cui mi accontento di dire che è solo carina mi sparo. Decisi di darmi tempo fino alle sette di sera per trovare qualcos’altro, altrimenti avrei buttato via tutto. Mi misi a cercare tra le altre cose che avevo girato e ne trovai alcune con Chiara, mia moglie. Secondo me, una storia deve sempre parlare a una persona. E io avevo voglia di parlare a lei».Perché non adatta le sue opere per il grande schermo?«Prima de L’ultimo terrestre, Domenico Procacci si aspettava, come mi disse dopo, che mettessi in scena La mia vita disegnata male. Quello che non sapeva lui, e all’epoca non sapevo neanch’io, era che quando finisco un lavoro non mi interessa più. Lo so, sembrerebbe naturale tradurre un mio libro in cinema; ma è una questione di desiderio».In che senso?«I due linguaggi sono diversi. Il fumetto è magico e la realtà è brutta. E se non sei un grosso regista, con molti soldi, non puoi modificarla. Nel fumetto, tutto dipende da te. Nel cinema, per quel poco che ne so, il tempo è danaro. Nel fumetto sei solo come un cane, e dopo un po’ comincia a pesarti. Il cinema, invece, è come una gita scolastica: fa star bene».Ogni giorno, sui social network e con i cortometraggi per Propaganda Live, dice quello che pensa e spesso si ritrova a discutere con sconosciuti. Non le pesa?«Oggi non mi interessa più. So che queste persone fanno parte del conto. Le cose che ti dicono, quando ti insultano, se sei lucido capisci subito che sono aria fritta. Se faccio tutto questo casino, è perché sono incazzato. Penso che siamo in un momento storico spaventoso per questa nazione. Io voglio che un giorno, quando tutta questa merda sarà passata, potrò dire che stavo da tutt’altra parte».Lei ed altri fumettisti siete diventati un punto di riferimento. I nuovi intellettuali.«Stiamo messi proprio male, allora. Mi dà la misura di quanto tutto sia scalato verso il peggio. Da una parte la classe politica, dall’altra, appunto, quella intellettuale».Cosa dovrebbe fare un intellettuale, secondo lei?«Seguo e leggo persone che hanno un cervello più grosso del mio. Mi mostrano direzioni e ragionamenti che prima non avevo preso in considerazione. È questo, secondo me, quello che dovrebbero fare gli intellettuali».Intervistato aLe invasioni barbarichedopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, spiegò semplicemente cosa vuol dire satira.«Quando feci l’intervista dalla Bignardi mi sembrava di dire delle banalità incredibili, ma se quelle banalità hanno bisogno di essere sottolineate e se a sottolinearle devo essere io lo farò». Perché una certa politica, oggi, ha così successo?«C’è un bisogno di vicinanza. Quello che le persone vogliono è che i politici diventino loro amici. È quello che fanno Salvini e chi segue la sua comunicazione, se ci pensa: mostrarsi come uno di noi».E invece?«Io non voglio qualcuno come me a prendere le decisioni per il Paese. Io voglio qualcuno migliore di me».Chi èIl ragazzo più felice del mondodel suo film?«A vederlo dopo, posso dire che sono io quando ho una storia tra le mani, io e i miei amici quando riusciamo a portare a termine qualcosa, quando quel qualcosa diventa un ricordo bello. Noi eravamo molto contenti quando abbiamo fatto questo film, e spero che almeno un pochino, questa nostra amicizia, si senta».

Al festival della rivista Internazionale in corso a Ferrara, il fumettista Gipi ha letto i nomi di 34.216 migranti la cui morte è stata accertata nel mar Mediterraneo dal 1993 a oggi. L’evento è durato “solo” 4 ore, ha spiegato Gipi, perché molti migranti sono annotati nei registri a gruppi di 50 o 100 persone, non identificate. L’evento si terrà di nuovo sabato mattina, alle 9.30.