Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2018
Lo scandalo microchip-spia fa crollare l’hi tech asiatico
Lenovo Group e ZTE Corp hanno guidato ieri diffusi crolli tra i titoli tecnologici a Hong Kong, provocando ribassi generalizzati nell’intero settore hi-tech dall’Asia all’Europa e persino negli Usa: gli investitori hanno reagito con un’ondata di vendite al report dell’agenzia Bloomberg secondo cui i server di primarie aziende tecnologiche e agenzie governative americane sarebbero stati «infiltrati» tre anni fa dai servizi di spionaggio cinesi grazie a componenti «hardware» (ossia a microchip inseriti segretamente).
Il timore non è solo che sarà più difficile l’accesso al mercato americano per le società tecnologiche cinesi in tutta la filiera delle comunicazioni, ma che diventerà più arduo trovare soluzioni al contenzioso commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina, che anzi pare destinato ad aggravarsi. Le rivelazioni sono coincise del resto con un duro attacco a Pechino del vicepresidente Mike Pence, che ha elevato accuse di interferenza nella campagna elettorale per le elezioni di mid-term.
Con i mercati finanziari cinesi ancora chiusi per la settimana delle festività autunnali (riapriranno lunedì), a Hong Kong il titolo di Lenovo ha ceduto il 15% (dopo punte di caduta del 23%) e quello di ZTE è sceso dell’11%, mentre forti ribassi settoriali si sono registrati a Taiwan e l’indice MSCI AC Asia Pacific Infotech ha toccato i minimi da quasi un anno e mezzo.
La reazione è tanto più significativa in quanto il report non accusa direttamente alcuna azienda cinese, mentre le principali società citate hanno smentito di aver riscontrato problemi: da Super Micro Computer, che avrebbe fornito le schede con i microchip-spia, a giganti come Amazon e Apple. Lenovo ha altresì sottolineato che Super Micro «non è un fornitore sotto alcun aspetto» e che, come società globale, dedica un forte impegno «a garantire l’integrità della supply chain». Alcuni analisti intravedono però scenari di enorme impatto anche al di là delle singole aziende. «Questa faccenda potrebbe dare un colpo mortale alle ambizioni cinesi di salire nella catena del valore entro il 2025, in quanto i mercati occidentali potrebbero chiudersi alle sue aziende hi-tech», ha scritto in una nota ai clienti Michael Every, senior strategist di Rabobank, aggiungendo che, con l’arrivo di dazi americani al 25%, si accelererà un trasferimento delle supply chain nell’elettronica dalla Cina a Paesi come il Messico.
In un altro sviluppo che risulterà poco gradito a Pechino, si profila in Germania un veto politico all’acquisto di una azienda tecnologica, Leifeld Metal Spinning (macchinari di precisione), da parte della Yantai Taihai. Berlino dovrebbe decidere la prossima settimana, invocando ragioni di sicurezza nazionale secondo regole rese più severe dopo che due anni fa Midea Group aveva conquistato l’azienda di robot Kuka. Già nei giorni scorsi il governo tedesco aveva dimostrato il suo nuovo approccio, facendo comprare a KfW il 20% dell’utility 50Hertz messo in vendita da un fondo australiano, per evitare che se ne impossessasse la cinese State Grid.