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 2018  ottobre 06 Sabato calendario

Riviste e Accademia, così ti pubblico sette ricerche scientifiche finte

In America, nei mesi scorsi, su una nota rivista di settore è stato pubblicato un articolo scientifico dal titolo Dog Park che sostiene che gli uomini vadano addestrati come cani per prevenire gli stupri. Un altro afferma che quando un ragazzo si masturba pensando a una donna senza che lei lo sappia, stia commettendo violenza. Poi, che l’intelligenza artificiale sia pericolosa perché è programmata per essere maschilista e imperialista. E ancora, che un corpo grasso sia un corpo “costruito legittimamente” e che quindi nel professionismo dovrebbe essere inserita la categoria per i “bodybuilder grassi”. Problema: si tratta di ricerche false, pubblicate però in riviste di settore accreditate.
È il risultatodi un esperimento realizzato da Helen Pluckrose, James A. Lindsay e Peter Boghossian, una medievalista, un matematico e un filosofo americani. Hanno pubblicato 7 articoli accademici di “studi culturali”, “studi sull’identità” e “studi di genere” confezionati proprio per ricevere l’approvazione dei revisori ma soprattutto per dimostrare che in molti campi della ricerca moderna – soprattutto se vicini alle lotte per i diritti civili – non importa la qualità scientifica quanto l’adesione alla polemica di moda. Così si spiega come si riesca a pubblicare studi sulla necessità di una “astronomia femminista e queer” o sul divieto di parlare da imporre ai maschi bianchi, assieme al dover stare a lezione seduti a terra e incatenati, per far loro comprendere il dramma storico della schiavitù. O ancora come si possa diffondere una “riscrittura femminista” di un capitolo del Mein Kampf di Hitler. “Abbiamo capito – spiegano i tre, presentando il loro esperimento – che qualsiasi cosa funziona, purché rientri nell’ortodossia morale e dimostri comprensione della letteratura esistente”.
Una ricerca realizzata con metodo per dieci mesi: hanno scritto 20 articoli e li hanno sottoposti alle migliori riviste accreditate nei settori pertinenti. Sette sono stati accettati, 7 erano ancora in forse quando hanno dovuto interrompere l’esperimento (uno degli articoli ha avuto così tanta risonanza da svelare l’inesistenza di Helen Wilson come autrice e della Portland Ungendering Research Initiative come istituzione). La loro stima è che sarebbero riusciti a farne pubblicare almeno 12. “Sette articoli pubblicati nell’arco di sette anni – spiegano – sono spesso considerati il numero sufficiente per ottenere la carica nella maggior parte delle principali università”. Hanno anche ricevuto quattro inviti a revisionare altri studi (la cosiddetta peer review, revisione tra pari). Addirittura, l’articolo sulla cultura canina anti-stupro ha ottenuto un riconoscimento speciale per l’eccellenza da Gender, Place, and Culture, rivista di alto livello nella cultura femminista. “Soprattutto in alcuni campi delle discipline umanistiche – spiegano – ormai la ricerca è basata meno sulla verità e più sulla partecipazione alle polemiche sociali. Ma questa visione del mondo non è scientifica né rigorosa”.
“Senza dubbio il sistema va cambiato, i reviewer (recensori, ndr) devono essere scelti in base a competenza e onestà – spiega al Fatto la filosofa Nicla Vassallo –. L’articolo arriva sempre anonimo: sta al direttore della rivista inviarlo a revisori seri, che non hanno timore a bocciarlo”. Femminismo, gender, molestie, stupro, minoranze sono però argomenti caldi e potrebbero condizionare le scelte. “Può essere. In Italia la filosofia femminista è ferma da tempo e chiusa su se stessa, ma ha acquisito molto potere. In Inghilterra e negli Stati Uniti, invece, le filosofie femministe sono in fermento, in evoluzione, pur continuando a non essere un argomento di moda”.
Altro tema caldo è l’immigrazione: “Anche in accademia – spiega Vassallo –. Adesso c’è Trump. Probabilmente i colleghi ‘burloni’ americani hanno avuto gioco facile nel toccare argomenti all’ordine del giorno. Come per sesso e gender: è facile pubblicare sulle riviste o scrivere libri, anche se è difficile scrivere cose intelligenti in proposito”. E in Italia? “Paradossalmente sarebbe difficile pubblicare un articolo farlocco perché tutto dipende da chi ti appoggia, da chi ti raccomanda. Addirittura esistono alcune riviste il cui direttore chiede di essere citato nel pezzo perché anche la citazione conta, sia per la scalata accademica sia per la fama”.