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 2018  ottobre 06 Sabato calendario

Le lettere di chi vorrebbe andare a morire in Svizzera

Centodieci italiani che, negli ultimi nove anni, hanno optato per il suicidio assistito nelle cliniche di Dignitas, una delle onlus che lo permette. Oltre confine, però. In tutto 2.550 casi registrati a Zurigo dal 1998 a oggi. E poi le lettere, quella montagna di lettere che ogni giorno l’associazione radicale Luca Coscioni di Marco Cappato (in questi giorni riunita nel congresso annuale, a Milano) riceve con le richieste di malati che non ce la fanno più. Che vorrebbero andarsene con dignità, ma che sono costretti all’ultimo esilio da una politica, la nostra, ancora silente. Ce ne sono seicento. Volevamo raccontarvi quelle storie di dolore e di sofferenza, ma non sarebbe stato giusto.È meglio che siano loro a parlare. Eccone qualcuna che l’associazione Coscioni ci ha messo a disposizione:

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Caro Marco, ti scrivo dal capezzale di mio padre. Dalla metà di agosto, tra atroci sofferenze e in uno stato di assoluta lucidità, sta combattendo la sua ultima battaglia contro un carcinoma gastro esofageo. Ha creduto di poter domare la belva, così ha chiamato il suo male. Qualche ora fa, dopo due giorni di sofferenze tremende, con un filo di voce mi ha sussurrato «voglio morire, così non posso vivere». So che non puoi fare niente perché la crudele ipocrisia di chi decide che in questo Paese non si può scegliere di morire con dignità, ti impedisce di aiutare mio padre, ma l’amore che mi lega a lui mi ha spinto a scriverti e diventare la sua voce. Marco non smettere mai di condurre la tua battaglia e anche se per XXXX non puoi fare nulla ti chiedo di far conoscere l’appello di mio padre ‘Voglio morire, così non si può vivere». Grazie.

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Buongiorno Cappato, mi chiamo XXX. Sono un avvocato e all’età di X mi hanno diagnosticato XXXX (malattia neurodegenerativa, ndr). Ero spensierata all’università, al primo anno, e all’epoca, percepivo solo indefinibili sensazioni per cui mi rivolsi al medico che all’età di XXXX mi operò di scoliosi. Dopo qualche accertamento mi disse che le mie sensazioni non avevano nulla a che vedere con la scoliosi e mi diede l’infausta diagnosi. Volevo diventare un avvocato penalista e all’epoca stavo bene, «lo specchio della salute». Un medico però mi disse di dedicarmi alle mie passioni, di viaggiare, di godermela perché sarei al massimo arrivata ai 30 anni. Che dire’ La mia passione era diventare un avvocato. La prima laureata della famiglia. I miei genitori erano persone dedite alla famiglia, al sacrificio, ai figli. Non potevo tornare a casa e devastare la loro vita con una notizia del genere. C’era anche XXXX all’epoca adolescente – aveva bisogno di vivere la sua età e di ricevere le sue attenzioni – e non volevo che la famiglia entrasse in una cappa di tristezza e disperazione. Decisi quindi di tenermi questo segreto quando cominciarono a vedersi le prime difficoltà avevo una serie di scuse pronte e quando iniziarono a diventare più pesanti dirottavo tutto sul fatto che forse qualcosa non aveva funzionato durante l’intervento alla colonna vertebrale che avevo fatto molti anni prima. Passarono così gli anni, mi sono laureata. Lavoro ma ora è diventato davvero tutto difficile a livelli insopportabili...ormai è difficilissimo anche stare seduta, scrivere al computer. Ogni anno che è passato da quel lontano giorno ha portato via un pezzo di me, dei miei sogni e della mia autonomia. Inizi a dover abbassare il tacco, poi cambi proprio il tipo di calzatura e cambiando la calzatura devi cambiare il tuo abbigliamento, entri nei negozi ed esci con cose che non avresti mai scelto, che non ti piacciono, che non sono te, che non ti rappresentano. Nulla a dire il vero ti rappresenta. Fino a non entrare più nei negozi e a delegare altri a scegliere per te. Poi il tuo tempo libero, tempo che non vorresti perché non puoi fare nulla di quello che vorresti, poi i tuoi spostamenti fino a abbandonare addirittura la guida dell’auto perché, malgrado i comandi adattati, ti cambia la prospettiva visuale e la coordinazione. In poche parole non hai più la sacrosanta libertà di scegliere, andare, di fare, di essere. Ed ecco il motivo per cui la contatto. Dopo anni in cui ho lottato, stretto i denti e protetto chi mi stava vicino, ora voglio la libertà di scegliere! E voglio rivolgermi in Svizzera fino a quando avrò le forze nelle braccia per non dover coinvolgere nessuno. Rivoglio la mia dignità La ringrazio e sin dora mi scuso per il disturbo per le informazioni che vorrà darmi.

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Sono il padre di XXX, un ragazzo di 37 anni con distrofia muscolare di Duchenne. Respira con un ventilatore artificiale, viene nutrito con PEG. Comunichiamo molto, come possiamo. Da qualche tempo la sua situazione si è aggravata. Mi sta parlando del suo desiderio di smettere di lottare, di morire per porre fine alle sua sofferenza. Con dolore mi rivolgo a voi per un aiuto. Per quanto doloroso per noi, liberatorio per lui. ** Vi scrivo a nome della mia amica XXX, una ragazza gravemente malata, che vuole effettuare la richiesta del suicidio assistito con Dignitas. Si trova in enormi difficoltà perché non riesce a trovare un medico disposto a farle l’ultimo certificato. Vi ho allegato la lettera che ha mandato a Dignitas, dove descrive tutto il suo percorso. Un medico chirurgo che l’ha visitata a domicilio ha ammesso che il suo dolore non è compatibile con la vita, ma le ha negato il certificato. Ieri XXXX ha dovuto subire torture fisiche e psichiche in ospedale, dove una neurologa e un psichiatra si sono rifiutati di aiutarla. I genitori anche contrari alla sua scelta, vorrebbero portarla anche in un centro di salute mentale, la ragazza ha tentato di fuggire facendosi del male, l’ho sentita ed era così disperata che ho pianto anch’io. Spero che qualcuno possa aiutarla...

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Gentile Cappato le scrivo in merito alla sua attività di supporto e sensibilizzazione sull’argomento dell’eutanasia assistita. Io mi chiamo XXXX, ho 29 anni e sono affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne diagnosticatami all’età di 2 anni. Dall’età di 8 anni sono costretto su una sedia a rotelle e da tempo non sono più autosufficiente e dipendo unicamente dagli altri. Vivo assieme alla vedova di mio padre che dopo la sua morte ha continuato a prendersi cura di me. A parte il gravoso impegno sulle spalle di questa straordinaria persona sono stanco della mia condizione, stanco di sofferenze e rinunce legate alla malattia e quindi ho deciso di scriverle. So che lei fornisce un supporto anche economico per intraprendere questa strada quindi le chiedo aiuto e se potesse mettersi in contatto con me.

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Marco, ho 74 anni. Giaccio da tempo in un letto di dolore all’ospedale in piena lucidità. Ho iniziato a chiedere a chi mi è vicino di reperire informazioni per un percorso che mi porti a morire volontariamente in una struttura svizzera come già hanno fatto altri italiani, noti e meno noti, anche nel recente passato. Lo chiedo ora anche a te. Sono single, ho una cugina che si prende cura di me durante l’ospedalizzazione. Ti sarei grato se volessi aiutarmi a capire come intraprendere questo percorso.