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 2018  ottobre 06 Sabato calendario

Troppi i cervi che si sfidano per conquistare le femmine

Il signore delle foreste italiane, in questi giorni, fa sentire con forza la sua voce. Nei boschi dell’Appennino e delle Alpi, dallo Stelvio a Paneveggio come nel Casentino e nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, i maschi adulti della specie si sfidano ogni giorno a duello. Lo fanno lanciando i bramiti, dei poderosi richiami che echeggiano tra le rocce e nelle valli, e ricordano a chi ha viaggiato nei parchi nazionali dell’Africa i ruggiti dei leoni. Se un altro maschio risponde alla sfida, i due cervi combattono violentemente a cornate. A volte lo sconfitto si allontana illeso, in altri casi ha delle ferite sanguinanti.
Nonostante la violenza degli scontri e le dimensioni dei cervi (i maschi adulti superano spesso i due quintali di peso), i cervi non attaccano e non feriscono l’uomo. Anche per questo motivo, in passato, sono stati cacciati fin quasi a scomparire. Per la stessa ragione, oggi, è possibile cercare e fotografare i cervi senza paura. Gite per ascoltare i bramiti e vedere da vicino gli animali vengono organizzate in numerose aree protette italiane. Nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, dove i cervi passeggiano spesso per le strade di Villetta Barrea, propongono itinerari all’imbrunire guide escursionistiche come Pietro Santucci di Civitella Alfedena e la cooperativa Ecotur di Pescasseroli.
LE ESCURSIONI
Nel Lazio, a un’ora di viaggio da Roma, i bramiti echeggiano nelle valli e nei boschi dei Monti della Duchessa e dei Monti Simbruini, tutelati da aree protette regionali e a cinquanta chilometri da Roma. In Trentino, nei parchi Adamello-Brenta, Paneveggio-Pale di San Martino e dello Stelvio, in emozionanti escursioni serali si utilizzano le termocamere all’infrarosso, che consentono di osservare gli animali anche al buio. In altri parchi italiani, dalle Foreste Casentinesi ai Sibillini, si può partecipare come volontari ai censimenti dei cervi. Negli ultimi decenni, in Italia, l’aumento del numero di aquile, lupi e camosci ha trovato molto spazio nei media.
La reintroduzione del cervo, quasi scomparso all’inizio del Novecento, è stata una tappa importante della ripresa della natura nel Paese. «L’ultimo censimento dei cervi italiani parla di circa 73.000 esemplari, metà dei quali vive sulle Alpi orientali. In molte zone i censimenti non si fanno, quindi il numero effettivo è certamente superiore», spiega Francesco Riga, zoologo dell’Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca ambientale. «I cervi reintrodotti negli ultimi decenni, che provengono dall’Europa centrale e dalla Francia, hanno preso il posto dei cervi autoctoni italiani, che erano più piccoli e frugali», spiega Sandro Lovari, zoologo dell’Università di Siena, grande esperto di cervi, camosci e stambecchi. «Noi zoologi oggi ritroviamo i caratteri dei cervi italiani di un tempo nel cervo sardo, che dopo aver sfiorato l’estinzione si è nuovamente diffuso nell’isola e nella vicina Corsica. E nel cervo del Bosco della Mesola, nel Delta del Po, che vive da secoli in una riserva protetta. Due popolazioni isolate, che non possono entrare in contatto con i cervi dell’Appennino e delle Alpi».

CONTRALTARE
L’aumento del numero dei cervi, molto apprezzato da escursionisti e fotografi, rende sempre più facile ascoltare i bramiti. Ma può rapidamente diventare un problema per l’ambiente. «Nel Parco Nazionale dello Stelvio e nelle zone vicine, dove vivono oltre 10.000 cervi, i camosci hanno meno erba da brucare, e da qualche anno il loro numero cala», spiega Luca Pedrotti, coordinatore scientifico dell’area protetta. «I cervi distruggono il sottobosco, causando la sparizione del gallo cedrone e del gallo forcello. Mangiano larici e abeti appena spuntati, impediscono il rinnovo della foresta, causano seri danni economici ai boscaioli e ai Comuni», prosegue il ricercatore.
Per la legge italiana, al contrario dello stambecco, del camoscio d’Abruzzo e del lupo, il cervo non è una specie protetta. E dove la sua presenza è abbondante può essere cacciato. «Per farlo occorrono censimenti e piani di abbattimento, finora presenti solo sulle Alpi, in Emilia e in Toscana», spiega Francesco Riga dell’Ispra. «Il Parco deve mantenere un equilibrio» aggiunge lo zoologo Pedrotti. «Gli abbattimenti di cervi sono iniziati nel 1998 nel settore altoatesino dello Stelvio e nel 2012 in quello lombardo. Si tratta di abbattimenti selettivi, da parte di cacciatori locali che hanno superato un corso. Ma sempre di fucilate si tratta». In futuro, ipotizzano gli zoologi, una presenza maggiore del lupo potrebbe ridurre il numero dei cervi sulle Alpi e far disperdere i grandi branchi che causano i danni più gravi ai boschi. 
Oggi la situazione è diversa, e anche molte associazioni ambientaliste accettano gli abbattimenti selettivi come un male minore. Dopo la stagione del bramito e degli amori, per i cervi italiani, inizia quella dei fucili.