Il Messaggero, 6 ottobre 2018
Un anno di #Metoo, effetto boomerang
I tempi cambiano ed è giusto che cambino. Ma c’è sempre un qualche ma che accompagna il cambiamento, anche quando il progresso sembra evidente, come nel caso della rivolta delle donne contro le molestie da parte di uomini di potere. Per la prima volta nella storia, con #Metoo un movimento planetario di opinione ha dato voce alle vittime di abusi, soprusi e violenze, spingendole a denunciare in pubblico e senza vergogna gli uomini che a dir loro ne erano i responsabili. A un anno esatto dall’articolo del New York Times e dall’indagine del New Yorker sul produttore di Hollywood Harvey Weinstein, con decine di testimonianze di donne che l’accusavano di essere un predatore sessuale seriale a partire da Asia Argento (poi anche lei finita nel mirino), il bilancio è quello di un’ecatombe. Il moghul della Miramax, considerato fino ad allora un intoccabile, e da allora in disgrazia, licenziato dalla sua stessa compagnia, abbandonato dalla moglie, ridotto in manette, e attualmente in attesa di giudizio, dopo aver ottenuto la libertà pagando un milione di dollari di cauzione, ha almeno 80 donne che l’accusano, di cui 12 l’accusano di stupro. E nel mondo, sono oltre 400 gli uomini di potere, accusati di molestie e violenze sessuali, che da un giorno all’altro hanno visto distrutta non solo la loro reputazione, ma la loro vita. L’ultimo in ordine di tempo è il giudice Brett Kavanaugh, indicato dal presidente Usa Donald Trump per essere nominato alla Corte suprema americana.
GLI ATTORI
Bill Cosby, il popolare attore afroamericano protagonista di una fortunata sitcom, è stato accusato da un’ex dipendente della Temple University di averla drogata e stuprata nel 2004. Per questo è stato condannato da un tribunale della Pennsylvania a dieci anni di prigione, nonostante la veneranda età, anni 81, senza possibilità di cauzione e con l’aggiunta di una multa di 25 mila dollari. Ma le donne che l’accusano di abusi commessi dagli Anni Settanta sono in tutto una cinquantina. Kevin Spacey, altro grande attore e Premio Oscar, accusato di aver molestato vari uomini, fra i quali alcuni minorenni, è stato licenziato in tronco dalla serie tv House of Cards, e cancellato dall’ultimo film di Ridley Scott, All the Money in the World. Obbedendo alla damnatio memoriae, il regista scozzese, famoso per il suo impegno umanitario, ha deciso di ricominciare da capo tutte le sequenze già girate del suo film, per sostituire il reo con l’attore Christopher Plummer. Woody Allen, il regista americano da anni al centro delle polemiche per le accuse di molestie da parte dei figli della sua ex Mia Farrow, è stato praticamente messo al bando da Hollywood, al punto che la giovane moglie Soon-Yi, figlia adottiva della Farrow, si è sentita in obbligo di difenderlo, accusando l’ex madre adottiva di averlo voluto diffamare, sfruttando l’onda del #Metoo.
L’ONDA LUNGA
E anche in Italia si è abbattuta quest’onda lunga della protesta planetaria femminile. Il regista e scrittore Fausto Brizzi è stato denunciato da tre giovani donne che lo accusavano di averle obbligate a subire rapporti sessuali nel corso di un provino nel suo loft, episodi che sarebbero avvenuti alcuni anni fa. E anche Brizzi, come i suoi colleghi americani, è stato messo al bando, radiato dai titoli di coda del suo ultimo film, emarginato dal consorzio civile e prontamente abbandonato dalla moglie attrice e vegetariana. Pochi mesi fa, la procura di Roma ha però chiesto l’archiviazione del caso, stabilendo dopo accurata indagine che il fatto non sussiste.
Infine, il Maestro Daniele Gatti, uno dei migliori direttori d’orchestra al mondo, appena nominato direttore permanente del Royal Concertgebauw Orchestra di Amsterdam, è stato licenziato in tronco dalla celebre istituzione musicale olandese per comportamento inappropriato, dopo che un articolo del Washington Post riportava la denuncia di due cantanti che l’accusavano di molestie sessuali subite, a dir loro, anni orsono, in particolare a Chicago nel 1996 e a Bologna nel 2000. Altro clamoroso caso di gogna mediatica comminata all’istante, senza possibilità di un contraddittorio tra l’accusa e la difesa, per effetto travolgente della deriva #Me too.
Perché di questo si tratta. Per quanto giuste e necessarie siano le denunce da parte delle donne vittime di violenza, per quanto urgente e coraggioso sia l’ aver posto fine alla congiura del silenzio, superando la vergogna e il senso di colpa e persino il consenso tacito che per anni, decenni e secoli le donne hanno mostrato verso gli uomini e i loro comportamenti distorti, è anche giusto riflettere sulla deriva di un movimento di opinione, che rischia di travolgere vittime e carnefici fino a confonderne i confini, col rischio di offuscare colpe e responsabilità.
Il caso Weinstein è servito a molte donne a uscire finalmente allo scoperto, a superare la vergogna della violenza subita, a scendere in campo a viso aperto, per battersi in prima linea e chiedere giustizia.
LA CAUSA
Eppure, in molti casi non si sarà anche approfittato di questo sacrosanto cambiamento, per cadere in un abuso opposto e altrettanto riprovevole? La vittima apparente non rischia di trasformarsi in carnefice, rovinando la reputazione del presunto colpevole, condannandolo con un processo sommario, senza dargli la possibilità di difendersi, o semplicemente di offrire la sua versione dei fatti? È possibile che una giusta causa finisca per trasformarsi nel suo opposto? È possibile che proprio in nome del rispetto e della dignità delle donne, si finisca per tornare al Medioevo, all’epoca dei roghi, della caccia alle streghe, della gogna per le adultere? Intendiamoci, nessuno pretende difendere il mostro. Ma anche il mostro ha diritto alla difesa. E ogni condanna, per essere legittima, non può essere preventiva, ma esige il rispetto delle regole e procedure rigorose.