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 2018  ottobre 05 Venerdì calendario

Intervista a Franco Causio: «Trap mi scaricò ma l’Udinese fu la mia fortuna»

C’era un tempo incantato in cui Ronaldo non si chiamava Cristiano ma Franco, e dopo il dribbling veniva il cross. Era il tempo di Causio e dei suoi magnifici estri, Causio detto Brasil perché quel gioco dal forte sapore sudamericano evocava altri mondi. La maglia, ovviamente la n. 7, aveva nella trama del tessuto bianco e nero uno spessore lanoso, ma Franco Causio la portava come il lieve mantello di un re.
Possiamo chiamarla CF7? Si offende?
«No, anzi è un onore. Sono orgoglioso che un campione del genere indossi la mia divisa. Il 7 era passato un po’ di moda, ormai si parlava solo del 10 e invece».
Franco era un’ala destra classica, come all’inizio Cristiano.
«Lui si è trasformato in attaccante totale, anche se Ferguson allo United lo preferiva sulla fascia. Quando giocavo io, i numeri erano ruoli eterni: se facevi l’ala destra, facevi l’ala destra. Io lo ero, modestamente, e saltavo l’uomo. Ma nessuno può essere paragonato a Ronaldo, all’assoluto calcistico che rappresenta».
Il fascino inquieto del 7, Garrincha, George Best, Meroni, Bruno Conti, Causio, Beckham, Ronaldo.
«Il marziano, dopo Garrincha, è il portoghese. E sono cavoli per tutti. Se n’è accorto il Napoli: Cristiano Ronaldo terrestre è una macchina spaventosa, si è già calato nella Juve e nel campionato. Chi lo ritiene solo un divo non capisce di calcio».
Cos’è Ronaldo, invece?
«Un professionista enorme, egoista solo in apparenza. Si è già caricato in spalla la Juventus e i compagni lo adorano. Contro il Napoli ha segnato tre gol senza segnarne nessuno, trovatene un altro così».
Ma la Juve ne aveva proprio bisogno? Dopo 7 scudetti?
«Per la Coppa dei Campioni, certo che sì. Ronaldo non cala nel nulla, ma dentro un gruppo già formidabile. Non si poteva immaginare un’operazione di mercato migliore, neppure se avessero preso Messi».
Lei, Causio, si emoziona ancora quando vede la sua vecchia maglia?
«Come non potrei? È stata la mia vita, compresa quella bianconera col 7 dell’Udinese per tre anni. Una storia che non finisce mai».
Domani Udinese-Juventus.
«La Juve è stata la giovinezza, l’Udinese la vecchiaia. Lasciai Torino con rammarico e rabbia, ma quella cessione fu la mia fortuna».
Perché se ne andò?
«Trapattoni preferiva Fanna e Marocchino: però, mi ha fatto solo un favore. All’inizio a Udine erano scettici, pensavano che fossi lì per svernare e prendere gli ultimi soldi, invece con quella maglia diventai campione del mondo nell’82».
Come ci riuscì?
«Quando la Juve mi scaricò, la prima telefonata fu di Bearzot. Il vecio mi disse: ciò, mona, dimostra che sei ancora Causio e io ti porto ai Mondiali. Promessa mantenuta. E fu una gioia immensa giocare gli ultimi minuti della finale al Bernabeu».
Chi era Enzo Bearzot?
«Un amico, il mio vecio. Lo conobbi che avevo 16 anni, lui era il vice del paròn Rocco al Toro e io feci il provino con i granata. Poi andò diversamente, ma in azzurro il vecio mi portò nella Under 23 e poi in Nazionale. Mercoledì ha compiuto 91 anni, auguri».
Ha compiuto?...
«Certo, il mio amico Enzo è vivo».
È vero che Causio stava per tornare alla Juve?
«Sì, ma c’era ancora la persona che mi aveva scaricato e così lasciai perdere».
Meglio la seconda vita a Udine?
«Talmente meglio al punto che qui ho messo radici e non me ne andrò mai. Sono tra gente vera, ho avuto grandi soddisfazioni e mi diverto ancora come opinionista della tivù dell’Udinese. Ringrazio la famiglia Pozzo che mi ha voluto. Del resto, qui ero stato anche general manager».
Due vite bianche e nere, e un modo di giocare a pallone pieno di colori: cos’è stata la sua vita, Franco Causio?
«Una grande, fortunata avventura. Ho ricevuto un dono e ho cercato di farlo fruttare, non l’ho tenuto per me. Penso di essere stato un buon giocatore».
Causio, lei si sente uno dei più grandi del calcio italiano?
«Ma non è di questo che vado più orgoglioso. A farmi davvero felice sono gli incontri che ho avuto. Pensi che fortuna: io, dentro una vita sola ho conosciuto il presidente Pertini, l’avvocato Agnelli e il vecio Bearzot. Non capita mica a chiunque. E ho pure incontrato due volte papa Wojtyla! Tutto per quella maglia numero 7».