Il Messaggero, 5 ottobre 2018
Da Galileo a Enrico VIII, le carte segrete dei Papi
Ogni giorno sono migliaia i turisti in visita ai musei vaticani che camminano tra i vialetti del monumentale Cortile della Pigna ignari di essere sopra ad uno dei più grandi giacimenti di memoria del mondo. La propensione primaria della Chiesa, quasi istintiva, per la cura e la custodia di tutto ciò che la collega alla sua origine, ha fatto sì che nel corso dei secoli si accumulasse al di là del Tevere una mole incredibile di documenti. Un oceano di carte. Pergamene, papiri, manoscritti, bolle, codici, lettere, regolamenti, cifrari, dispacci, epistole, di natura pastorale, politica, amministrativa, teologica, contabile, diplomatica. Il grande tesoro che si tramanda pressoché intatto viene custodito dai Papi con una cura talmente accurata da rasentare il maniacale. È racchiuso in un bunker, diviso in due tronconi in cemento, scavati sotto la collina sulla quale si trovano i musei e il cortile del Belvedere.
L’ACCESSO
L’Archivio Segreto (che poi così segreto non è vista la facilità d’accesso per studiosi e accademici, di qualunque provenienza e religione) conserva tutto ciò che è rilevante per la memoria della Chiesa. Fin dai primissimi tempi, come viene ricordato nel Liber Pontificalis, i papi usarono custodire nel proprio scrinium, il proprio archivio, le gesta martyrum, i codici liturgici, le memorie delle consacrazioni episcopali, ma anche le donazioni compiute al vescovo di Roma e ai cristiani nei primi secoli. È per questo che anche il manoscritto anticamente era una specie di reliquia. Dei primissimi documenti post-costantiniani, però, anticamente inventariati e collocati al Laterano, rimane ben poco perché furono spostati presso Santa Maria in Cosmedin attorno al IX secolo per paura che arrivassero i Saraceni e li saccheggiassero. Un incendio distrusse quasi tutto ma non l’attitudine alla raccolta delle carte che proseguì inalterata.
Ai tempi di Paolo V, nel 1611, l’archivio era contenuto in tre stanze. Niente a confronto dell’espansione odierna, visti gli 85 chilometri di scaffali, che si sviluppano nei locali della struttura. Per un totale di 630 fondi. Adagiato sul velluto, in un cofanetto, si trova un piccolo codice: risale alla fine dell’ottavo secolo e l’inizio del nono. Il Liber Diurnus Romanorum Pontificum contiene le formule di cancelleria, in gran parte pontificie, riguardanti l’elezione del Papa, i rapporti con l’imperatore d’Oriente e l’esarca di Ravenna, il primato della Chiesa di Roma sulle altre sedi episcopali. Da allora i documenti non hanno più subito danni rilevanti, eccezion fatta quando Napoleone li fece trasferire in Francia nel 1810. Purtroppo, cinque anni dopo, quando fecero ritorno a Roma, si contavano parecchie perdite e ammanchi. Moltissimi sono i documenti famosi sui quali la curiosità degli studiosi si è sempre concentrata, a cominciare con il Dictatus Papae, una pergamena del 1073. Si affermava il diritto del Papa di deporre gli imperatori. Un’altra bolla, risalente al 1245, di Innocenzo IV, stabilì la destituzione dell’imperatore Federico II. Era il primo atto di deposizione di una autorità laica da parte del papato. Qualche decennio dopo fu emanato nel conclave di Perugia (1294) una lettera comprensiva di undici sigilli di ceralacca appesi, con la quale fu ratificata l’elezione di Celestino V, un eremita abruzzese che, probabilmente, non aveva nemmeno troppa voglia di fare il Papa. Infine, gli atti del processo di Galileo Galilei che hanno fatto arrivare fino a noi una diatriba tra scienza e fede. È un incartamento processuale raccontato in 228 fogli. Tra le righe si capisce che Bellarmino, forse, da gesuita, cercava un escamotage giuridico per evitare la condanna, ma nello sviluppo di un dialogo tra sordi alla fine lo scienziato pisano sottoscrisse per forza: «Io Galileo Galilei ho deposto come de sopra, die sabbathi 30 aprile 1933».
IL GIOIELLO
Il documento più spettacolare in assoluto, invece, è la lettera dei membri del Parlamento inglese a Clemente VII sulla causa matrimoniale di Enrico VIII. Le dimensioni di questa spettacolare bolla, alla quale sono appesi gli 83 sigilli in ceralacca dei nobili inglesi, sono talmente ingombranti da aver trovato collocazione solo nello spazioso studio del prefetto dell’Archivio Vaticano, monsignor Sergio Pagano. «È arrivata a noi miracolosamente integra perché fu ritrovata, secoli dopo, dentro l’incavo di uno scranno di legno», spiega Pagano, indicando una specie di anonimo tronetto di legno. Qualcuno l’aveva nascosta per timore che la potessero rubare. Quel nascondiglio fu provvidenziale. È arrivata a noi intatta. La memoria si può pure appannare, ma i documenti sono guardiani del tempo e aiutano a costruire il futuro.