Corriere della Sera, 5 ottobre 2018
Il 41,5% dell’acqua si perde prima di arrivare a Roma
«Al lago di Bracciano le caprette pascolano sui fondali in secca». È passato un anno dall’estate 2017 in cui una Roma assetata fu costretta a prendersi l’acqua dal bacino del Parco naturale. Polemiche: «Mai più!». La stessa Acea, poche settimane dopo, rilanciava l’allarme: l’acquedotto più importante, che disseta 7 romani su 10, è vecchio, malmesso, esposto ai terremoti. In caso di guai seri, la capitale potrebbe restare senza acqua per mesi e mesi. Con danni incalcolabili. Nei Paesi seri si sarebbero precipitati: non corriamo rischi. Macché...
Intendiamoci, l’Acquedotto del Peschiera è stato ed è davvero una benedizione per Roma e i romani. E la scelta della «multiutility» capitolina di celebrare gli ottant’anni della condotta con una mostra aperta proprio in questi giorni al Palazzo delle Esposizioni è un omaggio al servizio offerto a generazioni di cittadini con quell’acqua che sgorga dalla grotta nel Monte Nuria a Cittaducale, Rieti.
Il problema, però, resta: e la prevenzione? Domani? Dopodomani? L’ultima emergenza dell’anno scorso mise Roma quasi in ginocchio. Titoli indimenticabili: «Il sindaco braccianese: Roma ci ruba l’acqua». «Siccità, l’allarme di Zingaretti: “Sta finendo l’acqua a Roma”». «Raggi: “È inimmaginabile che un milione di romani non abbiano l’acqua”». Baruffe infuocate fino a un compromesso. Affidato alla buona sorte...
«E così sono tutti felici e contenti», commentò amaro l’ambientalista ed ex magistrato Gianfranco Amendola nel suo blog sul Fatto, «il problema dell’acqua di Roma si è risolto con accordo e tripudio generale del ministero dell’Ambiente, della Regione Lazio, della sindaca di Roma e dell’Acea: niente razionamenti, abbiamo scherzato; possono continuare i prelievi dal lago di Bracciano, ma, sia chiaro, in forma ridotta e poi, sia sempre chiaro, cesseranno alla fine dell’estate, quando, si spera, torneranno le piogge».
Ma ci si può affidare solo a Giove pluvio? Certo, la natura è sempre stata storicamente generosa con la Città Eterna. Al punto che Strabone, ai tempi di Gesù, scriveva: «La quantità d’acqua che viene condotta nella città è talmente grande che attraverso la città e nei canali sotterranei scorrono veri e propri fiumi e quasi ogni casa ha condutture e serbatoi propri e possiede fontane che zampillano in abbondanza».
Il guaio è che Roma, di acqua, ne ha anche sprecata e continua a sprecarne tanta. Basti dire che dalle sorgenti ai rubinetti, lungo gli «8.100 chilometri di reti di distribuzione e di diramazione agli utenti» perde il 41,5% dell’acqua potabile a disposizione. Una media perfino superiore (nonostante 23 secoli di esperienza a partire dal primo acquedotto voluto da Appio Claudio) allo sperpero medio italiano: 38%. Il più alto d’Europa. Spreco accompagnato dalla bolletta più bassa, poco più di 1 euro a metro cubo. Un terzo della bolletta fiorentina, un quinto di quella di grandi città europee dove la dispersione è intorno al 6%.
Certo è che già nel luglio 2017, recuperando studi e proposte più antichi, sotto pressione per la crisi «delle caprette al pascolo a Bracciano», l’Acea denuncia tutti i pericoli e delinea un progetto per risolvere il problema. L’acquedotto più importante per Roma, spiega, «attraversa zone ad elevatissimo rischio sismico e idrogeologico, come si evince dalle cartografie allegate, e una sua improvvisa interruzione, causata da un eventuale evento sismico o franoso, provocherebbe un disservizio alla popolazione dell’intera area metropolitana di Roma per un tempo non inferiore a 6 mesi». Serve dunque un raddoppio.
Costruito nel 1938, «realizzato con tecnologie ad oggi ampiamente superate», lesionato già dal terremoto in Umbria e nelle Marche del settembre ‘97, logorato da ottant’anni d’«esercizio ininterrotto» che hanno imposto «continui interventi di manutenzione straordinaria intensificati dai ripetuti eventi sismici nell’Appennino Centrale», insiste il documento di Acea, l’acquedotto attuale non è manco «ispezionabile senza causare la totale interruzione dei 9 mc/sec trasportati». Conclusione: «Risulta improcrastinabile procedere alla realizzazione del nuovo Tronco Superiore Peschiera». Cioè una nuova condotta «totalmente in galleria con un tracciato di circa 27 km, sostanzialmente parallelo a quello esistente che consentirà il trasporto dell’intera portata». Urgente. Anzi: urgentissimo.
Tanto più che, mette in guardia la società, «le autorizzazioni, gli atti di assenso e i nulla osta, comunque denominati necessari, per l’esecuzione delle opere» rischiano di portar via un sacco di tempo. I timbri indispensabili al via libera, per capirci, sono 14 e vanno richiesti a un’infinità di enti e autorità diversi, dai comuni di Castel S. Angelo, Cittaducale, Rieti, Belmonte in Sabina, Torricella in Sabina, Montenero Sabino, Mompeo, Salisano alle «Opere idroelettriche Salto e Turano». Itinerari burocratici che potrebbero allungare, anche di molto, i due anni e mezzo necessari previsti per il cantiere. Bene: passata l’emergenza, non si è più mossa foglia. Certo, ogni tanto il tema torna a galla. Ma senza più quella drammaticità e quell’urgenza che emergevano dal dossier-denuncia. E così, un mese fa, l’Autorità di Bacino del Tevere e dell’Appennino centrale ha deciso di mandare a tutti, dal premier ai ministri competenti, dal governatore al sindaco, una lettera. Firmata dal segretario generale Erasmo D’Angelis. «Oggetto: Elevato rischio approvvigionamento idrico per il Lazio Centrale ATO2 e la Capitale. Urgenza di definizione del progetto esecutivo e di avvio dei lavori». Lettera dove si ricorda la necessità di questo nuovo acquedotto del Peschiera poiché la condotta attuale «attraversa un territorio in un contesto idrogeologico e geofisico tra i più rischiosi del Paese, sottoposto a forti sollecitazioni tettoniche e telluriche».
Il tutto, dicevamo, nella totale assenza di protezioni e sistemi antisismici: «Tale condizione, in caso di evento, avrebbe conseguenze drammatiche per l’approvvigionamento idropotabile e la sicurezza sanitaria della popolazione dell’ATO2 Lazio Centrale e dell’area metropolitana di Roma, non essendo possibile ricorrere a fonti alternative d’approvvigionamento di adeguata entità». Rileggiamo: «conseguenze drammatiche».
Ricordato d’avere «più volte espresso preoccupazioni chiedendo l’immediato avvio alle procedure per la sostituzione» della vecchia condotta, l’Autorità di bacino insiste: «Nel novembre dello scorso anno l’Osservatorio Permanente degli Utilizzi Idrici del Distretto dell’Appennino Centrale, riunito da questa Autorità, ha ratificato la proposta tecnica presentata da Acea SpA, evidenziando l’urgenza della realizzazione».
A farla corta: costruire il nuovo acquedotto, su un «tracciato di circa 27 km sostanzialmente parallelo a quello esistente» ma stavolta con sistemi anti-sismici è, per l’autorità di bacino, improcrastinabile. Sarebbe davvero un peccato se, Dio non voglia, dovessimo intervenire ancora una volta «dopo» e non prima.