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 2018  ottobre 05 Venerdì calendario

57 miliardi di bond nelle banche italiane

Fare deficit per rilanciare la crescita. Questa la strategia di politica economica del governo la cui scelta di fissare il deficit al 2,4%, è stata però aspramente criticata dai partner europei e bocciata dai mercati tornati a speculare al ribasso sul nostro debito pubblico. Le perplessità non riguardano in assoluto la scelta di aumentare il deficit ma come si è deciso di impiegare queste risorse. Non in un piano di investimenti potenzialmente in grado di dare uno stimolo all’economia ma a misure come la riforma delle pensioni o il reddito di cittadinanza il cui impatto sul Pil è quantomai incerto. Le decisioni del governo italiano hanno poi alimentato l’instabilità finanziaria. Un fattore che potrebbe favorire le spinte recessive se, come accaduto tra il 2011 e il 2012, l’aumento del rischio sovrano dovesse spingere le banche a chiudere il rubinetto del credito a famiglie e imprese. O perlomeno renderlo più oneroso attraverso, per esempio, un aumento degli spread sui mutui (si vedano gli articoli a pagina 5). 
Lo spettro del credit crunch finora non si è materializzato anche se qualche chiaro segnale di tensione si è visto sul mercato delle obbligazioni societarie. Da maggio in poi c’è stato un chiaro rallentamento delle nuove emissioni. Tra la fine del 2018 e per tutto il 2019, ci saranno circa circa 57 miliardi di euro di titoli in scadenza, stima Dealogic. Il grosso dei quali (circa 37 miliardi di euro) emesso da società finanziarie. Rifinanziare questo debito potrebbe comportare oneri aggiuntivi per via del rialzo dello spread. In che misura? Per rispondere a questa domanda bisogna verificare se e quanto le quotazioni dei bond societari sono state influenzate dai saliscendi dello spread. I numeri per il momento sono rassicuranti. Il mercato ha finora risentito relativamente della volatilità dei titoli di Stato. È il caso soprattutto dei corporate bond emessi da società non finanziarie e dei bond bancari senior. A soffrire sono state invece le obbligazioni subordinate emesse dalle banche. Al pari delle azioni questi titoli hanno risentito dei timori di un’erosione del patrimonio degli istituti derivante dal deprezzamento dei BTp, di cui le banche italiane sono importanti sottoscrittori. «Secondo i nostri calcoli – spiega Angelo Dipasquale, Co-Head della divisione reddito fisso di Equita – un rialzo dello spread di 100 punti comporta una riduzione del Common Equity (il capitale di vigilanza delle banche ndr.) di circa 38 punti base. È per via di questa erosione del patrimonio che i titoli subordinati risentono della volatilità sui titoli di Stato e potrebbero essere più difficili da emettere». Discorso diverso vale per il segmento delle obbligazioni corporate. «In questo caso – spiega Dipasquale – la correlazione con il rischio sovrano è più contenuta. Specialmente nel caso dei titoli con rating investment grade che hanno beneficiato e continueranno a beneficiare degli acquisti della Bce nell’ambito del Qe. Le aziende ad alto rating hanno approfittato ampiamente del contesto di mercato positivo creato dalla politica monetaria della Bce rifinanziandosi a costi irrisori e allungando la scadenza media del debito». Nel 2017 – calcola Dealogic – c’è stato il record di emissioni con oltre 45 miliardi di titoli corporate collocati. 
Secondo Axel Botte, strategist di Ostrum Asset Management, non bisogna sottovalutare i rischi connessi al possibile taglio del rating dell’Italia: «Aspettiamo ancora i dettagli della legge di bilancio ma da quello che è stato reso noto finora non mi stupirebbe che Moody’s tagliasse il rating sovrano e rivedesse al ribasso l’outlook sull’Italia. Ci aspettiamo una bocciatura anche da S&P. A quel punto si dovrebbe rivedere al ribasso il merito di credito delle banche e alcuni istituti di medie dimensioni che hanno un rating appena sopra il livello “investment grade” potrebbero scendere a quota “junk”. Uno scatto che inevitabilmente comporterà un rincaro dei costi di rifinanziamento del debito». Senza contare i fabbisogni aggiuntivi di emissioni legati ai nuovi requisiti Mrel. Secondo il gestore in questa fase chi ha meno da perdere sono i titoli “high yield” a basso rating che potrebbero reggere meglio l’impatto del deterioramento del rischio sovrano.