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 2018  ottobre 04 Giovedì calendario

Sorprese dall’archivio di Dario Bellezza

Questa è una vicenda che sembra rubata a un racconto di Henry James, una di quelle storie dove una stanza con il caminetto acceso diventa la cornice perfetta per una narrazione magnetica. Tre letterati, fra i quali chi redige queste note, cenano alla tavola di un piccolo ristorante mezzo vuoto. Improvvisamente uno dei tre accenna all’archivio di un famoso poeta maledetto, le cui carte si ritenevano perdute.
Ebbene, l’archivio è magicamente ricomparso. Contiene documenti di estrema rilevanza che purtroppo non potranno essere pubblicati, perché di contenuto osceno e riguardanti personaggi ancora viventi. Il poeta è Dario Bellezza (Roma, 1944-96), morto in condizioni di semipovertà in un appartamento di Trastevere; celebre per il suo comportamento provocatorio non meno che per i suoi versi, conosciuto anche dal pubblico televisivo grazie alle tempestose apparizioni al Maurizio Costanzo Show, in lui Pasolini vide il massimo poeta della sua generazione. A rivelare che le tracce di una vita non sono andate disperse è Igor Patruno, scrittore e giornalista nonché appassionato storico degli anni Settanta. Sull’ultimo numero della rivista Nuovi argomenti, la storia raccontata al cospetto di un piatto di ravioli è accessibile a tutti, in una forma appena diversa da quella che mi accingo a narrare qui.
Iniziamo dal 1996, cioè dalla fine: quando Bellezza muore, l’archivio viene preso in consegna dal compagno che gli è stato vicino nei giorni della malattia, Antonio Veneziani. Attenzione, non si tratta di una mazzetta di lettere tenute assieme da un pezzo di spago e consegnate alla latta di un cofanetto Sperlari, ma di un lascito di centinaia di documenti, il cui indice occupa cinquanta pagine.
Circa tre anni dopo, Veneziani aliena l’archivio vendendone le parti a diverse librerie antiquarie. È un atto allarmante in quanto rappresenta il primo passo in direzione di una frammentazione del lascito. Per fortuna una delle librerie è gestita da Andrea Galli, il quale decide di muoversi in direzione opposta: ricompra le parti acquistate da altri antiquari e, ricostituito l’archivio nella sua interezza, trasmette il materiale alla casa d’aste Bloomsbury di Roma, che nel 2006 mette all’incanto il lotto al prezzo irrisorio di diecimila euro. E chi dovrebbe aggiudicarselo, se non le istituzioni che in questi casi hanno il dovere di intervenire?
Il che, singolarmente, non accade. L’asta, un’asta pubblica, va deserta. Va deserta perché i collezionisti privati non dubitano che l’archivio sarà acquistato, con un rilancio imbattibile, dalla Biblioteca Nazionale, e non si presentano. Se si volesse indulgere in un atteggiamento vittimistico – lo stesso che Dario Bellezza, pioniere in Italia dei diritti degli omosessuali, avversava – si potrebbe sospettare che l’indifferenza dello Stato nasconda una nota moralistica, o provinciale. Il fallimento, fra l’altro, fa riapparire lo spettro dello smembramento: quando un lotto messo all’asta risulta invenduto, per rientrare nelle spese di solito lo si fa a pezzi.
Invece Galli salva una seconda volta l’archivio, sollecitando uno dei più tenaci collezionisti di documenti relativi agli anni Sessanta e Settanta, Giuseppe Garrera. Una nuova asta assegna a lui l’archivio: con soddisfazione di Galli, felice che il lascito sia finito nelle mani di qualcuno che, a differenza dello Stato miope e pasticcione, sappia riconoscerne il valore. È alla generosità di Garrera, e alla cortesia di Patruno che mi ha messo in contatto con lui, che i lettori del Giornale devono la lettera inedita della Ortese e la cartolina spedita da Bellezza alla Morante che pubblichiamo in questa pagina. Solo dopo questa fase, quando ormai per molti aspetti è troppo tardi, il nuovo ed efficiente direttore della Biblioteca Nazionale si attiva, riuscendo ad acquisire alcuni documenti che non facevano parte del lotto due volte messo all’asta.
Una volta entrato in possesso dell’archivio, Garrera ha passato due anni a studiare i documenti e a dividere il materiale in quattro nuclei tematici. Il primo nucleo, scrive Patruno, «raccoglie le carte manoscritte riferibili all’opera poetica e in prosa, più i diari. Resoconti di vita privata, prevalentemente notturna. Storie oscene raccontate con crudezza. Le vicende autobiografiche emergono senza falsi pudori, senza mediazioni». Un aspetto interessante di questo gruppo di carte è che in esse i nomi dei personaggi cui Bellezza si ispira sono tutti in chiaro: per esempio l’Anna del romanzo L’amore felice nei manoscritti è semplicemente Elsa (Morante). Ce n’è abbastanza da far saltare sulla sedia i cultori di un milieu culturale leggendario, dominato da figure già trasfigurate sulla pagina e ora identificabili: Pasolini, Moravia, Natalia Ginzburg, Amelia Rosselli e Alberto Arbasino, per limitarci alle celebrità. «Le Lettere da Sodoma, del 1972 – continua Patruno – rilette con i nomi reali delle persone sembrano pronte ad essere imbustate e spedite».
Il secondo nucleo comprende interventi che testimoniano l’impegno politico e la militanza omosessuale. Il terzo nucleo è l’epistolario e contiene dodici lettere inedite di Anna Maria Ortese. Il quarto nucleo, infine, è rappresentato dalla corrispondenza evasa per conto di Pier Paolo Pasolini tra il 1966 e il 1969, quando Bellezza era il suo segretario. A Bellezza, Pasolini dettò anche il trattamento della Medea.
Giuseppe Garrera, come tutti i veri collezionisti, è malato di collezionismo. Solo una malattia può spingere a svegliarsi ogni domenica alle tre del mattino per raggiungere il mercato delle pulci di Porta Portese, in modo da intercettare i cingalesi che svuotano le soffitte delle nonne. Raggiunto al telefono, è disponibile a raccontare la storia tortuosa, ma ormai trasparente, che lo ha portato a entrare in possesso dell’archivio di Dario Bellezza.
Lo ascolto con ammirazione, e molta invidia: a casa non ho cimeli, a parte due lettere del 1973, più stupite che stizzite, con le quali una vineria milanese invita il mio professore, Tullio De Mauro, a regolare il conto relativo ad alcune bottiglie di vini francesi ordinate mesi prima e mai pagate. In un soprassalto di civismo fuori luogo, da cittadino abituato, quando desidera leggere un manoscritto raro, a compilare un modulo, gli chiedo se l’ultimo atto di questa vicenda sarà universalmente felice. Possiamo sperare che l’archivio diventerà accessibile, un giorno, agli studiosi? «Un giorno, forse sì», risponde Garrera, «ma per il momento, no. Non bisogna dimenticare che senza un germe di follia non si dà collezionismo». E poi, a voce più bassa: «Il collezionismo è l’accesso esclusivo a un’intimità. Ti trasformi in un drago che conserva gelosamente un tesoro...».