Il Messaggero, 4 ottobre 2018
Abatantuono vuole rinascere attrezzista
L’inseparabile, piccolo ventilatore a pile poggiato sul tavolo («così non sono schiavo dell’aria condizionata»), i modi pacati e la barba bianca da patriarca biblico, Diego Abatantuono parla del suo ultimo film Un nemico che ti vuole bene, originale commedia nera diretta da Denis Rabaglia e in sala da oggi con Medusa.
E di molto altro: i successi, le delusioni, la condizione di nonno, i progetti, gli odiati social. «Ho avuto una vita bellissima», sospira l’attore che, a 63 anni, dopo aver interpretato 100 film, si è tolto lo sfizio di firmare una sceneggiatura: proprio quella della commedia di Rabaglia in cui interpreta un astrofisico e un giorno, per caso, salva la vita a un killer professionista (l’attore in ascesa Antonio Folletto) che vuole sdebitarsi uccidendo qualcuno «che gli vuole male».
Ma Abatantuono cade dalle nuvole: nessuno, a partire dai membri della sua famiglia, gli pare un nemico. In un crescendo di colpi di scena scoprirà però che niente è come sembra e spesso a tradirci è proprio chi ci sta accanto.
Non è un po’ sprovveduto, il suo personaggio?
«È una brava persona, definizione che sconfina nella stupidità. Ed è costretto a reagire ai soprusi. Ma il film ha un lieto fine che mi piace: i buoni traggono vantaggio dai comportamenti negativi dei cattivi».
Lei è mai stato tradito da un amico?
«Sì, è successo quando iniziavo a recitare. Una persona a me vicinissima ha fatto un voltafaccia che, in aggiunta alla delusione, mi ha procurato dei danni economici. Ma mi sono ripreso dalla botta e ho girato un film dietro l’altro: una dozzina, tra il 1981 e l’83, tra cui successi come Eccezziunale veramente, Viulentemente mia, Attila. Quando il personaggio del terrunciello è stato spremuto troppo e si è esaurito, mi sono trovato in difficoltà».
Come ne è uscito?
«L’incontro con il produttore Maurizio Totti ha inaugurato la seconda fase della mia carriera».
Ma lei preferisce far ridere o i ruoli drammatici?
«Non faccio distinzioni, vado dove mi porta il film. Unica cosa certa: adoro il set. È la mia casa, il luogo che conosco meglio e in cui mi diverto di più. Se rinasco, non voglio fare l’attore ma l’attrezzista, lo scenografo, qualunque cosa mi permetta di stare dietro le quinte».
Perché non l’attore?
«La tecnologia ha distrutto la mia tranquillità. Oggi la gente ti salta addosso per farsi i dannati selfie. Rimpiango la timidezza dei fan armati di penna e taccuino».
Niente social, per lei?
«Per carità, non perdo tempo. Preferisco stare con le mie nipotine Matilde e Maria Carlotta che mi divertono tanto».
Cosa la spinge, oggi, a interpretare un film?
«Devo essere pagato abbastanza da mantenere la mia numerosa famiglia ed essere sicuro di girare il miglior film possibile. Cioè credibile e, se possibile, divertente».
Come si diverte, al di fuori del lavoro?
«Ridendo in compagnia. Niente mi mette più allegria della visione con gli amici del film Alex l’ariete, interpretato nel 2000 dal campione di sci Alberto Tomba».
Ha nostalgia del passato?
«Certo, perché ho avuto una vita fantastica in cui le gioie sono state superiori ai drammi. E le cose belle tornano sempre a galla.
Ho conosciuto persone fuori dal comune come Gabriele Salvatores con cui sto girando a Trieste un nuovo film: Se ti abbraccio non aver paura».
Oggi vede in giro più ingenui o più traditori?
«Vedo tanti ignoranti a cui il frastuono tecnologico impedisce di ragionare e informarsi come si deve.
La riuscita di un’impresa si giudica ormai dal numero dei clic. Si dà più importanza alla quantità della qualità. Sa qual è la parola che detesto di più?»
No, ce lo dica.
«È l’aggettivo virale. Mi fa venir voglia di vomitare».