La Stampa, 4 ottobre 2018
Getta la colf dal settimo piano e la filma tra le risate
La poveretta ha gli occhi sgranati, la bocca che trema nell’urlo. Dopo qualche istante il suo volto scompare e il video mostra l’ombra minuscola di un corpo accasciato per terra con un tonfo agghiacciante. È accaduto mesi fa in Kuwait: una perfida datrice di lavoro non solo ha lasciato precipitare la sua domestica etiope dal settimo piano, ma l’ha anche filmata e ne ha postato il video sui social. L’una è miracolosamente sopravvissuta, l’altra ha subito una (piuttosto mite) condanna.
Crudeltà infinita
È difficile immaginare una scena più terribile di quei diciassette secondi di filmato: la prima, istintiva reazione è respingerla, come se arrivasse da un altro mondo. Com’è possibile che sia avvenuta? Com’è possibile assistere freddamente, anzi sogghignando – perché anche questo emerge dal video – a una tragedia del genere, senza farsi smuovere le viscere?
Fra il postare una donna che implora aiuto prima di cadere dal settimo piano sotto i tuoi occhi e un doppio arcobaleno o se stessi in bilico su un precipizio c’è certamente un abisso. Ma non è un abisso così invalicabile. Le scene hanno persino qualcosa in comune: il voler comunicare lo stupore, il fenomeno eccezionale che quasi mai capita sotto gli occhi. Anche se è una cosa terribilmente violenta e ingiusta di cui ci si rende complici per il fatto stesso di assistervi e non far nulla per evitarla.
Che cosa ci vuole, per diventare complici? Forse, neanche troppo. Se infatti la Bibbia impone di amare il prossimo come se stessi – che è il primo dettato dell’umana convivenza – è perché il nostro istinto non è questo: le leggi nascono per correggere lo stato delle cose, per deviare dei comportamenti “naturali”.
E se, come dice Yuval Harari, il maggior traguardo della modernità è la lotta indiscriminata contro la sofferenza – con l’arma vuoi dell’etica vuoi della medicina – forse basta un rapido switch mentale per azzerare tutto questo e lasciarsi dentro soltanto l’indifferenza, per tornare a quel sé a cui non importa niente della sofferenza altrui. E se questa rimozione della pietà capita quando si ha un mano uno smartphone e l’occasione di una scena capace di conquistare un bel po’ di like – o di faccine con la bocca sgranata come quella della povera protagonista suo malgrado: sul terreno dei social cambia poco o nulla, quel che conta è portare a casa il risultato –, il gioco è fatto. Magari non davanti a una donna che precipita dal settimo piano, ma siamo un po’ tutti pronti a immortalare l’evento anomalo, e dunque stupefacente, chiamandoci fuori da dietro l’obiettivo.