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 2018  ottobre 04 Giovedì calendario

Ideologia, corruzione e petrolio: il Venezuela a pezzi dopo la “rivoluzione”



Il Venezuela è a pezzi. Dopo due decenni di cosiddetta «rivoluzione bolivariana», il Paese ha raggiunto un livello disfunzionale tipico delle guerre: iperinflazione (un milione di punti percentuali quest’anno), una crisi migratoria (2,6 milioni di disperati che cercano rifugio nei Paesi limitrofi), fame ovunque (due venezuelani su tre hanno perso peso per colpa della miseria) e il contemporaneo collasso dell’economia, della democrazia e della società. Eppure il Venezuela non ha combattuto una guerra: ha soltanto avuto un governo che ha raggiunto livelli vertiginosi di incompetenza, corruzione, cecità ideologica e cleptocrazia.
Sfruttare la frustrazione
Riguardo a come il Venezuela sia finito in questo tunnel resta parecchia incomprensione, e i miti abbondano. Vent’anni di propaganda e di mitologie di sinistra hanno avvolto il problema in un manto di confusione fin dall’inizio, dal 1998, quando Hugo Chavez conquistò la presidenza grazie un programma radicale, invocando una rivoluzione che avrebbe rifondato la repubblica venezuelana. Chavez sfruttò la frustrazione della gente, dipingendo il Venezuela come un esperimento fallito del capitalismo, con masse ridotte alla fame e una esigua élite che si appropriava degli enormi profitti dell’industria petrolifera. Era una caricatura: è vero che la crescita del Paese era in stallo e il tenore di vita aveva iniziato a ridursi, ma nel Venezuela la distribuzione della ricchezza era molto più vasta di qualunque altro Stato dell’America Latina, e il suo tenore di vita era tra i più elevati della regione. Chavez trasformò la frustrazione che si respirava nell’aria in un club politico brutalmente efficiente, lanciando una serie di espropriazioni, instaurando il controllo sui prezzi e promuovendo altre riforme per dare allo Stato un controllo molto più rigido sull’economia. 
A discolpa del socialismo
Questa spinta alla nazionalizzazione ha generato il secondo errore sul Venezuela, stavolta a destra. I critici conservatori hanno creduto che la causa del disastro fosse il fallimento del socialismo. In realtà, solo una parte relativamente ridotta della colpa può essere attribuita al socialismo in quanto tale. Nei primi due decenni del secolo molti altri Paesi latinoamericani hanno eletto leader socialisti, ma solo il Venezuela è arrivato al collasso completo dell’economia. In Uruguay, nel Cile, in Bolivia, in Ecuador e in Perù, le politiche socialiste furono pensate meglio e applicate in modo più ragionevole, producendo una cospicua riduzione della povertà, senza il caos economico che si è abbattuto sul Venezuela. Chiaramente, il socialismo non basta a spiegare il disastro.
Gli accademici, a loro volta, pensano di avere la risposta: non fu colpa del socialismo, ma della dipendenza dal petrolio. Secondo questa visione, il fallimento venezuelano va attribuito alle dinamiche specifiche di un Paese la cui unica esportazione è il petrolio: la cospicua rendita alimenta una cultura di corruzione rampante e di ricerca della rendita, con il governo che spende troppo, e troppo allegramente, per mantenere contenti i suoi amici e seguaci. Ma anche i fautori di questa teoria hanno un problema: il mondo è pieno di «petro Stati», eppure nessuno di essi è collassato spettacolarmente come il Venezuela. Se la dipendenza dalle risorse energetiche porta inesorabilmente al collasso, avremmo assistito allo stesso fenomeno in Iran, in Angola o nel Messico. Invece, il collasso venezuelano rimane curiosamente un fenomeno unico: qualsiasi cosa l’abbia prodotto, il petrolio da solo non basta a spiegarlo.
Qualcuno arriva a pensare che il problema sia Nicolas Maduro in persona: la cronologia del collasso, sopraggiunto poco dopo la morte di Hugo Chavez, farebbe attribuire la colpa a un delfino particolarmente incompetente. Ma si tratta di un altro mito: Maduro ha ereditato il mix politico che ha portato il Venezuela al baratro. Semmai il vero problema è stata la sua assoluta riluttanza a rinunciare alle politiche ricevute in lascito dal suo predecessore. 
Il mix di cause
Ma se il Venezuela non è stato distrutto dal socialismo, né dalla petrocleptocrazia, e nemmeno da Maduro, di chi è la colpa? In poche parole, di tutte le cause elencate sopra. Il Venezuela ha mandato giù un cocktail particolarmente tossico di ideologia molto rigida, totale dipendenza dal petrolio, corruzione devastante e di una politica economica incompetente in maniera quasi inimmaginabile.
Peggio ancora, il chavismo ha creato cortocircuiti multipli tra tutte queste malattie: l’espropriazione socialista ha prodotto carenze di prodotti che i cleptocrati hanno utilizzato per arricchirsi con il mercato nero. Le società espropriate hanno iniziato rapidamente ad accumulare perdite, ma i proventi sproporzionati del boom petrolifero furono più che sufficienti a coprirli; quando il prezzo del petrolio è precipitato, interi settori dell’economia, rimasti in piedi solo grazie alle sovvenzioni petrolifere, sono collassati. Il Paese aveva un bisogno disperato di importanti riforme politiche, ma Nicolas Maduro ha esitato per anni, lasciando che i problemi si accumulassero invece di alterare in alcun modo la linea del suo mentore. Nel frattempo, la democrazia venezuelana è crollata, rendendo impossibile per gli elettori cacciare i leader attraverso le urne.
Paesi devastati come il Venezuela non guariscono in un giorno. Probabilmente, il Venezuela rimarrà un focolaio di instabilità regionale, esportando profughi, cocaina, crimine organizzato e disperazione per molti anni. L’America Latina non è abbastanza forte per risolvere il problema, e gli Usa sono travolti dai propri errori. 
(Traduzione a cura di Anna Zafesova)