Sembra quasi sorpresa, da tutto questo entusiasmo che la circonda.
«Siamo solo all’inizio. Almeno, spero».
Indossa una maglietta con la scritta: "Ride like a girl".
«Vuol dire: guida come una donna. Con più sensibilità, più grinta. Col sorriso. Ho sempre saputo che ero in grado di vincere un titolo, però non è stato facile: i soliti pregiudizi, sapete benissimo di cosa parlo».
No, spieghi lei.
«In passato ho corso tre mondiali di Moto3 con Maverick Viñales e battendo piloti come il vostro "Pecco" Bagnaia, che tra poco sarà protagonista in MotoGP. Ma alla fine, dopo un buon esordio e due stagioni sfortunate con qualche infortunio (miglior risultato un 17° posto a Misano nel 2013 ndr), ho dovuto cambiare categoria. E gli sponsor se ne stavano andando. Fortuna che l’anno scorso ho vinto una corsa: mi sono meritata una squadra più forte, organizzata. E ho potuto dimostrare quel che valgo».
Il segreto?
«Prima vi dico la dedica: a Luis Salom, scomparso due anni fa a Barcellona. Con lui avevo un rapporto speciale: è andato vicinissimo a vincere un mondiale, se io ce l’ho fatta credo sia anche merito suo. Mi ha insegnato a lottare per quel che desideri. Se lavori duro, alla fine i sogni si avverano: bisogna infischiarsene delle battute di chi non capisce, perché una volta abbassata la visiera del casco siamo tutti uguali. Io non sono una donna: sono un pilota. All’inizio forse sembrava una pazzia: ma il fatto che abbia vinto, potrà aiutare nel futuro altre ragazze a fare altrettanto. E magari troveranno un percorso più facile del mio».
Non se la prenda, ma dicono che le donne non siano fatte, per i motori. Lei è un’eccezione.
«Basta, per favore. Guardate Katia Fontanesi, che ha appena vinto il titolo iridato di cross. E Maria Herrera, protagonista nel motomondiale. I limiti sono tutti nella testa vostra, dei maschi. Il punto è che siamo ancora poche».
Meno del 4 per cento.
«Mi auguro che quello che sto facendo possa invogliare tante bambine a salire in sella ad una moto. E a dimostrare – appunto che le barriere possono essere abbattute».
Lei quando ha cominciato?
«Avevo 3 anni. Mio padre è un meccanico, ha un’officina. Diciamo che la moto me la sono trovata accanto alla culla. Per molto tempo è stato solo un divertimento, non avrei mai pensato che potesse diventare una professione. Ma poi sono arrivati i risultati, ho deciso: questa è la mia vita, al diavolo quel che pensa la gente».
Come in quel film?
«Million dollar baby, il mio preferito: rischiare tutto per un sogno che nessuno vede, tranne tu».