Corriere della Sera, 4 ottobre 2018
Raffaella Carrà, icona di libertà
Oltre mezzo secolo di tv, concerti, dirette, copertine, milioni di spettatori. Dunque uno se la immagina avvezza a (quasi) tutto. E invece no, si emoziona. Davvero. «Guardi, non dico bugie, emozionata è dire poco. Mi hanno chiamato al telefono, poi convocata all’ambasciata. All’inizio non ci credevo. Un groppo in gola. Signora, le vorremmo attribuire un’importante onorificenza. Ma guardi, ho risposto, me ne avete già data una tanti anni fa. Ho pensato che magari non lo sapessero». Ovviamente nessun errore. Sabato 13 ottobre alle 17, con una cerimonia all’Auditorium di Roma, nell’ambito della rassegna Pop y Protesta, la più ufficiale delle onorificenze – fondata da Alfonso XIII di Spagna e attribuitale dal suo discendente e attuale re, Felipe VI – andrà proprio a lei, a Raffaella Pelloni in arte Carrà. Dama «al Orden del Mérito Civil».
«La prima, il Lazo, mi fu data ai tempi del governo di Felipe González, era re Juan Carlos. La massima onorificenza riservate alle donne per aver favorito, nelle mie trasmissioni, la conoscenza della Spagna e dell’Italia fuori dagli stereotipi. Sa, quelle cose tipo nacchere e flamenco, pizza e mandolino. Stavolta è diverso, premiano tutto il lavoro, la carriera».
La carriera di Raffaela versione spagnola ha un inizio preciso?
«Marzo 1976. Quattro mesi dopo la morte di Francisco Franco. E il racconto di quel giorno, del mio arrivo a Madrid, sarà l’oggetto del mio intervento all’Auditorium. Parlerò di quella incredibile notte del 6 gennaio, notte che non dimenticherò mai. Faceva freddissimo. Ero in albergo. Facciamo qualcosa, ho detto al gruppo dei miei collaboratori. Usciamo, andiamo a cercare un posto aperto nella Gran Via. Lei non ha idea. Era notte fonda, uno spettacolo incredibile, tutti i bar pieni, tavoli fuori presi d’assalto, strada invasa di gente con un’incredibile voglia di vivere. Cantavano. Festeggiavano l’ingresso della democrazia e la gioia di poter dire, finalmente, basta».
Come arrivò la Raffa già nazionale (Tuca Tuca e scandalo ombelico, Canzonissima, Millelluci, tutto in curriculum) nella Spagna post franchista?
«Una trasmissione di quattro puntate, un’ora ciascuna, La hora de Raffaella, prodotta dalla mia casa discografica di allora, la Cbs. Non mi conosceva nessuno. Parlavo poco la lingua. Ma avevo i miei ballerini, vestiti bellissimi e un modo di fare spettacolo tutto nuovo per loro. Però sono stata fortunata, il mio programma veniva dopo partite di calcio ad alto richiamo, roba tipo Real Madrid-Barça, ecco il perché del grande successo».
Carrà, non si sottovaluti...
«Non sono vanitosissima, lo ammetto».
Quel traino magari ci fu. Ma nella Spagna appena uscita dalla dittatura la rubia italiana che si muoveva scatenata cantando come sigla Felicidad da da diventò subito fenomeno. L’onorificenza, durante una rassegna dedicata al ’68 e al post ’68, a Pop e Protesta, arriva anche per questo.
Raffaella icona di libertà?
«Icona di libertà, è quello che mi hanno detto. Ecco, i complimenti mi imbarazzano, mi creda. Forse solo il simbolo di una felicità che può anche essere effimera. Il bello della leggerezza, diciamo così».
Quanto a complimenti, gli spagnoli non gliene lesinano. «El Pais» a giugno fa titolato Raffaella Carrà, el mito cumple 75 años.
«Non ci vanno leggeri eh... Che dire? Continua la storia di un legame infinito, di un grande amore reciproco che va oltre la stima. Mi hanno adottata. Io in Spagna mi sento a casa. Due anni fa mi hanno anche affidato la conduzione di un programma per i 60 anni della loro televisione. A chiunque dei nostri l’avessimo affidato, mi hanno detto, si sarebbero scannati fra loro. Su di te, tutti d’accordo».
Tutti d’accordo anche nello sceglierla come madrina del World Pride di Madrid nel 2017.
«Tante volte me lo avevano chiesto, a Madrid ho detto sì. Ripeto, la Spagna, al pari dell’Italia, è casa. Soffro solo per la questione della Catalogna. Anche ieri, in tv, tafferugli, scontri... Mamma mia, il mondo si è revuelto. Difficile immaginare una conclusione positiva di questa vicenda, ma la speranza resta».
In Spagna la onorano. E in Italia, quante onorificenze? «Nessuna. In Italia io sono una Milite Ignota. Ma guardi che non chiedo nulla».