In quest’olimpo c’è Zubin Mehta, il quale ha appena diretto al San Carlo un acclamato concerto, con l’Ouverture dal Candide di Bernstein, la Rhapsody in blue di Gershwin (al pianoforte Stefano Bollani) e un memorabile Sacre du Printemps. Il pezzo di Stravinskij è un banco di prova per l’orchestra, ispirata dal gesto di Mehta. Sobrio ma comunicativo, restituisce con limpidezza la trama sonora coniugandola a una profonda espressività.
Appare pallido e sottile Zubin, indiano nato a Bombay nel ’36 e ormai super-globale (ha studiato a Vienna, vive negli Usa, ha diretto ovunque). È evanescente ma con luce. Viene da mesi di problemi di salute: appuntamenti cancellati, sosta forzata e cicli intensi di chemioterapie a Los Angeles, dov’è seguito da un team di medici «che ora ha finalmente dichiarato il mio corpo tutto pulito dal tumore», ci tranquillizza con dolcezza.
Insieme al San Carlo (di cui è direttore musicale onorario dal 2016), ha affrontato un tour a Bangkok nel mese scorso, «e adesso partirò per Israele, dove dirigerò la Messa dell’Incoronazione di Mozart». È costruttivo e ottimista.
Con la “sua” Israele, maestro, festeggerà l’anno prossimo il mezzo secolo di concerti.
«Sto per lasciare la conduzione della Israel Philharmonic, che ho diretto 3.400 volte. Splendido rapporto cinquantennale. D’altronde io sono un campione d’intese durature: ho guidato la Filarmonica di Los Angeles per sedici anni, quella di New York per tredici e l’Orchestra del Maggio Fiorentino per trentadue».
A Firenze, in giugno, è tornato a dirigere dopo la lunga pausa.
«Sembrava che la città mi stesse abbracciando, con standing ovation prima e dopo le esecuzioni. Metà dell’orchestra era venuta ad accogliermi in aeroporto. In quel periodo ho sentito un affetto immenso da parte di tanti musicisti. Nella prima parte dell’anno avevo fissato una tournée con i Wiener Philharmonic a cui ho dovuto rinunciare, e il 29 aprile per il mio compleanno i Wiener da Copenaghen hanno voluto incidere un magnifico Happy Birthday musicale che mi hanno spedito via Internet».
Per quanto tempo ha smesso di dirigere?
«Otto mesi. È stata la prima volta che sono stato fermo così a lungo. E anche la prima volta in cui mi sono ammalato. A parte una meningite a sei anni, sono stato sempre sano».
Come ha reagito alla paura?
«A dire il vero ero pieno di fiducia nei medici e nella possibilità di superare la malattia. Mi ha aiutato molto mia moglie Nancy. Mi ha convinto che il male andava sconfitto e mi ha trasmesso la sua positività».
Le è mancata la musica?
«Era con me ogni notte. Mi circolava in testa mentre dormivo, di volta in volta c’era un brano. Aveva un passo diverso rispetto allo stato di veglia. Ma era onnipresente nei miei sogni. Ora mi sento bene e sono pieno di progetti per il futuro».
Anche in Italia?
«Certo. Nel 2020 tornerò alla Scala, dove mi è spiaciuto dare forfait per Il pipistrello. Dirigerò Un ballo in maschera di Verdi e Intolleranza di Nono. Ci saranno altre cose a Firenze e a Napoli».
Napoli, appunto: come ha trovato l’orchestra in questa fase?
«In ottima forma. È cresciuta grazie al lavoro del direttore musicale Juraj Val?uha. Ho avuto varie prove per il Sacre ed è stato un bel cammino comune. Prima di Bangkok ho diretto qui a Napoli la Nona di Beethoven, col suo potente messaggio di fratellanza universale e sempre attuale».
Frequenta da tempo l’Italia. Cosa pensa di questo Paese?
«Non ne so abbastanza per dare giudizi. Posso solo parlare da musicista. Mi hanno spiegato che col Decreto dignità i contratti a tempo determinato non devono superare i dodici mesi. Per le orchestre è pericoloso. Se non si possono impegnare i giovani per oltre un anno, quando i più bravi perdono il contratto scappano all’estero. I giovani vanno provati e sperimentati: un anno non basta».
Tra un viaggio e l’altro, lei torna nella sua casa di Los Angeles e negli Stati Uniti di Trump.
«Trump è una vergogna che spicca per mancanza d’intelligenza. Alle Nazioni Unite ridono dei suoi discorsi. Sa come parlare agli ignoranti, i quali lo votano proprio per il modo scemo in cui parla. Odia la California che è democratica. Non potremmo mai fare a meno dei messicani: sappiamo che nello Stato sono loro a fare la metà del lavoro».
Segue il destino della sua India natale?
«Credo che il governo indiano non protegga abbastanza i musulmani che nel Paese sono numerosissimi, molto più che in Pakistan. Pesante e dolorosa è la situazione in Kashmir, dove nel 2013 ho diretto un concerto in cui per la prima volta spettatori hindu e musulmani si sono trovati uniti spiritualmente ad ascoltare Franz Joseph Haydn e Beethoven. La musica ha una forza di coesione che arriva in sfere decisamente inaccessibili alla politica».