La Stampa, 3 ottobre 2018
«Con un chip sottopelle accendo il pc e lo smartphone. Sono un transumanista»
Per sbloccare il pc Mattia usa la mano sinistra. Lo stesso per il telefono e fra qualche tempo anche per aprire un passaggio segreto in casa, una sorta di piccola cassaforte dove tenere documenti o soldi, al riparo da qualsiasi ladro.Mattia Franzoni ha 21 anni e un chip sottopelle. Per il momento è un gioco, ma i giochi possono diventare molto seri quando meno te l’aspetti. Mattia si occupa di criptovalute e la tecnologia è da sempre al centro dei suoi interessi. Alla maturità, come argomento per la tesina scelse il transumanesimo, il movimento culturale che vuole andare oltre le capacità fisiche e cognitive umane, una filosofia di vita per trasformare la propria natura utilizzando scienza e tecnologia. È un movimento dai confini ampi. Comprende chi vi aderisce a livello solo teorico, chi vuole utilizzare sostanze chimiche per potenziare le proprie capacità – dalla concentrazione fino alla lotta contro l’invecchiamento – ma anche chi decide di farsi impiantare nel corpo un chip.Nella sua tesina Mattia raccontò tutto questo, ma fece anche qualcosa di più: andò da una piercer di sua fiducia e le chiese di inserirgli un chip sottopelle. «Fu semplice, basta una siringa. Si tratta di una tecnologia per nulla invasiva», racconta. Il chip è grande quanto un chicco di riso, va collocato tra il pollice e l’indice, è del tutto invisibile, lo si sente al tatto solo se si decide di andarlo a cercare. «Che cosa ci faccio? Per il momento non moltissimo, perché in Italia le infrastrutture non consentono ancora usi estesi». In Svezia per esempio con una semplice strisciata di mano si può pagare il biglietto dell’autobus, in 3 mila viaggiano senza più doversi preoccupare della tessera. In Italia quelli come Mattia saranno al massimo 2-300, ancora considerati più degli inutili visionari che dei pionieri che stanno sperimentando sulla loro pelle il futuro che verrà. Perché è questo il futuro.
Nei prossimi anni diventerà sempre più normale aprire le porte con il chip sottopelle, entrare in ufficio senza badge, lasciare a casa ogni tessera di riconoscimento. Nel giro di alcuni decenni potrebbe trasformarsi in molto altro ma è ancora presto per dirlo. «A me interessa solo sperimentare e fare qualcosa di utile per il futuro. Di sicuro non vorrei che questi chip fossero obbligatori per tutti, voglio capire fin dove si può arrivare. Il prossimo passo sarà farmi installare un piccolo biomagnete in grado di farmi percepire i campi elettromagnetici. È come avere un senso in più, mi permetterebbe di capire quando mi avvicino alle colonnine dell’elettricità o ai controlli antifurto».