Libero, 3 ottobre 2018
Le maestre hanno paura delle mamme col burqa
Tu solleva un problema 50 o 100 volte: qualcosa resterà. Bene, non è il caso del burqa e del niqab, sorta di galere ambulanti che contengono delle donne (che non sono neanche donne, sono involucri che ne contengono una, forse) e che continuano a creare problemi per via di un rispetto culturale non corrisposto. Ora due parlamentari leghisti, Simona Pergreffi e Daniele Belotti, hanno risollevato uno dei tanti problemi che si creano: quello dei bambini che vengono ritirati a scuola da donne non riconoscibili, appunto, perché coperte dal niqab, il velo islamico. Infatti le maestre, per farla breve, avrebbero l’obbligo di riconsegnare i bambini a gente identificabile: e chi può dire chi si nasconda dietro quei veli peraltro inquietanti, almeno per i bambini’ C’è una precisa sentenza della Cassazione (n. 3074 del 30 marzo 1999) secondo la quale «l’Istituto ha il dovere di provvedere alla sorveglianza degli allievi per tutto il tempo in cui gli sono affidati, e quindi fino al subentro reale o potenziale dei genitori o di persone da questi incaricate». E pare anche logico: ragione per cui i due parlamentari invitano a diffondere una circolare a tutte le scuole primarie e secondarie provinciali in cui si spieghi che rendersi identificabili è obbligatorio perlomeno al momento del ritiro del minore.
DONNE VELATE
I due sono partiti da alcune segnalazioni provenienti da zone che conoscono (nella bergamasca) ma è chiaro che il problema riguarda tutto lo Stivale. C’è anche una legge del 2017 secondo la quale i genitori possono autorizzare le scuole a lasciar uscire i bambini autonomamente (dipende ovviamente dall’età) anche se nessuno viene a prenderli, basta una liberatoria: ma se questa liberatoria mancasse, allora permangono gli obblighi di vigilanza. E che fare, allora, se si presenta qualcuno a viso coperto’ Dietro il velo potrebbe esserci la madre, la nonna, una governante, un’amica di famiglia, persone certo legittimate, ma potrebbe esserci chiunque altro, compreso un uomo, visto che la copertura lascia intravedere solo gli occhi. Potrebbe anche esserci un genitore non legittimato da qualche sentenza, qualcuno – è accaduto spesso – magari interessato a sottrarre la prole alla madre per riportarla nel paese d’origine. Il problema si era già posto in passato quando le donne velate dovevano magari anche entrare nella scuola per riunioni, incontri, recite o altro. Come ci siamo regolati, sinora’ Un po’ come capita. Qualche scuola non ha fatto entrare il genitore irriconoscibile (se era il genitore) come non lo avrebbe fatto per chiunque non fosse identificabile, ma ci si è sempre mossi un po’ così, all’italiana, imbracciando leggi gommose o lagnandone la mancanza.
LUOGHI PUBBLICI
Un groviglio di veti incrociati ha sempre bloccato tutto. Il Tar (2004) e il Ministero dell’Interno (2006) hanno spiegato che un tizio non può circolare o presentarsi con un casco integrale e però una donna può farlo con un burka o un niqab: perché ha «giustificato motivo». Idem il Consiglio di Stato e la magistratura. Nel 2011 una legge Pdl-Lega fu bocciata dal Pd, idem per una legge leghista del 2013. La legge per vietare il niqab ci sarebbe già, a dire il vero, ed è ancora più vecchia: è la n. 152 del 1975, norma anti-terrorismo secondo la quale è vietato comparire mascherati in un luogo pubblico. Ma viene definita inapplicabile giusto nei casi delle musulmane che abbiano «giustificato motivo». Ed è sempre questo «giustificato motivo» a fare la differenza: se un tizio che passeggi in Via Condotti con un casco integrale ha il giustificato motivo di essere probabilmente un cretino, una donna musulmana che indossi il velo, volente o costretta che sia, i motivi religiosi o culturali li ha ufficialmente tutti. La giurisprudenza ha sollecitato una precisa legge in materia: ma non si è mai fatta.
PAESI EUROPEI
Negli anni passati il centrodestra propose due soli articoli che modificassero la legge del 1975 (il «giustificato motivo» sarebbe stato eliminato) ma la piddina Donatella Ferranti sostenne che una norma del genere avrebbe leso la libertà religiosa. Alla commissione Affari costituzionali del Senato, addirittura, il Pd propose una legge che ammetteva burqa e niqab «a condizione che il volto sia riconoscibile», con ciò dimenticando che, nel caso, non sarebbe più stato più un burqa o un niqab, ma altre cose, tipo lo chador: roba cui nessuno si oppone. La copertura integrale intanto è stata vietata in vari Paesi europei, e persino in Turchia e Tunisia: ma noi ci teniamo questa macchina del tempo puntata sul Medioevo, questo simbolo appariscente di più nascoste segregazioni femminili, il simbolo di una separatezza culturale che poi è solo il travestimento di una separatezza delle regole e dei diritti. In Italia, a prendere i figli a scuola o in un ospedale, è vietato entrare con un casco integrale in testa, ma si può palesarsi con un burqa o un niqab. Il massimo sarebbe che una tizia o un tizio, ai controlli, sollecitato, si togliesse il casco e rimanesse in burqa o in niqab. Sarebbe tutto regolare.