il Giornale, 3 ottobre 2018
Sant’Ambrogio era sgraziato e in carne
Persino i santi si lamentano se la sofferenza si fa sentire. Così sant’Ambrogio raccontava della sua spalla dolorante in una lettera alla sorella santa Marcellina. Quel che è più chiaro, dopo l’ultima ricognizione sulle ossa di colui che nel 374 è stato acclamato vescovo di Milano a furor di popolo, è che Ambrogio aveva più ragioni per affliggersi della media dei comuni mortali.
Le analisi di laboratorio, realizzate dall’Università di Milano e dall’Istituto Galeazzi con indagini radiografiche e Tac sullo scheletro, raccontano una condizione delle ossa compromessa, provata dall’osteoporosi, che potrebbe anche essere stata una delle cause che l’ha portato alla morte. Si vede la brutta frattura alla clavicola destra che gli provocava dolori e difficoltà a muovere la spalla e anche la fisionomia del volto non proprio da statua greca, dovuta alla differenza di altezza tra i due occhi che fedeli e appassionati d’arte già conoscono grazie al mosaico del V secolo, custodito nel Sacello di san Vittore in Ciel d’Oro, nella basilica milanese di sant’Ambrogio. Fa un certo effetto paragonare un’opera d’arte antica a una radiografia iper-tecnologica per scoprire che dipingono la medesima persona, solo in linguaggi diversi.
Con un pizzico di fantasia, aiutati dalla classica iconografia equestre di Ambrogio, si potrebbe azzardare una caduta da cavallo. Cristina Cattaneo, prof di Medicina legale alla Statale, si limita ai risultati scientificamente acclarati: «Le sezioni della Tac e le misurazioni del cranio segnalano un’anomalia alla parte centrale dello zigomo e dell’occhio, con un’orbita leggermente più grande e un occhio leggermente più infossato, molto probabilmente associabile alla frattura della clavicola, con caratteristiche da età giovanile». Tra gli altri risultati anche depositi di oro e di bromo, che fanno pensare a ricche vesti colorate di porpora di Tiro usate da Ambrogio, uomo alto circa un metro e settanta, morto intorno ai 60 anni, ben nutrito. Governatore delle provincie del nord Italia e figlio del prefetto romano della Gallia, quindi di ottima famiglia.
Ma perché fare la Tac a uno scheletro del IV secolo, oggetto della venerazione di milioni di fedeli? Le ragioni, oltre che religiose, per dare fondamenta scientifiche alla fede, sono storiche. A oggi non si conservano i resti di nessun imperatore o personaggio di alta levatura contemporaneo ad Ambrogio e lo studio è particolarmente utile dal punto di vista archeologico e culturale. Grazie alla Tac sono arrivate importanti scoperte anche sui corpi dei martiri Gervaso e Protaso, militari, la cui storia è sempre stata avvolta da un’aura leggendaria. Anche il ritrovamento delle loro reliquie è raccontato da Ambrogio in una lettera alla sorella Marcellina: abbiamo trovato due uomini di alta statura...
Ebbene, gli scheletri di Gervaso e Protaso, che riposano accanto ad Ambrogio nella cripta della basilica, presentano tracce compatibili con una morte violenta. Secondo la Tac e altre indagini radiologiche, Gervaso e Protaso, certamente fratelli, probabilmente gemelli, morti tra i 25 e i 27 anni d’età (probabilmente sotto Diocleziano), molto robusti, alti un metro e 80, erano di origine europea, a differenza di altri martiri militari di origine africana tanto importanti nella storia della Chiesa ambrosiana: Vittore, Nabore, Felice, cui si aggiunge Nazaro, legionario romano di origine ebrea. Europei, ma pare non milanesi, Gervaso e Protaso, perché nessuno dei mille scheletri di milanesi contemporanei che sono stati studiati è così alto di statura. Un’ulteriore prova della composizione multietnica della Milano di sant’Ambrogio.
Uno dei fratelli presenta segni di decapitazione e una lesione alla caviglia, forse dovuta alla prigionìa nei giorni precedenti all’esecuzione. L’altro fratello presenta lesioni a una falange e fratture costali, oltre a segni sospetti di tubercolosi. «Le fosse comuni della Bosnia ci insegnano che questo tipo di segno alle caviglie deriva dalla contenzione qualche settimana prima della morte» spiegano gli esperti. Gervaso e Protaso, anche se corpulenti, non si nutrivano bene. Ambedue dovevano soffrire di lipotimia, con svenimenti e dolore di cranio. E nelle ossa portano tracce di carenza di ferro e delle medesime fatica e malnutrizione della popolazione milanese dell’epoca.