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 2018  ottobre 03 Mercoledì calendario

La conferenza sulla Libia si farà

ROMA La conferenza per la Libia si farà, anche se a Tripoli la tregua viene violata di continuo. Sarà a Palermo il 12 e il 13 novembre, così come ha annunciato ieri davanti al Parlamento, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Un vertice che, si spera, riuscirà a mettere intorno al tavolo tutte le grandi potenze: Russia, Usa, Europa, Lega Araba, Egitto, oltre a tribù e milizie locali, interlocutori fondamentali per una stabilizzazione del paese. Obiettivo dell’incontro sarà quello «di lavorare per la Libia, non sulla Libia» – ha sottolineato il responsabile della Farnesina -, e «di trovare una linea generale di azione per riportare l’ordine e la pace».
LA DIPLOMAZIUna sfida importante per l’Italia che spera così di avanzare nella scacchiera delle influenze, in un momento in cui la nostra strategia sembra perdere terreno rispetto alla Francia. Da mesi Parigi vuole rivestire un ruolo da leader nella stabilizzazione africana. E lo fa sostenendo il comandante dell’esercito libico, Khalifa Haftar, acerrimo nemico del presidente in carica Fayez al Serraj. Due giorni fa, poi, il governo di Macron ha calato altre carte e ha presentato le credenziali a Serraj di Beatrice Le Fraper du Hellen, primo rappresentante diplomatico inviato a Tripoli dopo la chiusura della sede nel luglio del 2014 e il trasferimento delle competenze all’ambasciata di Tunisi. Le Fraper du Hellen ha anche annunciato che la sede riaprirà nel 2019, e che la Francia sostiene gli sforzi del governo di concordia per ripristinare la sicurezza e la stabilità. Un salto in avanti che sembra essere piaciuto a Serraj tanto da fargli manifestare apprezzamento per l’appoggio dato «alla stabilità e al percorso democratico».
Tutto questo mentre l’ambasciatore Giuseppe Perrone è ancora a Roma e la sede diplomatica di Tripoli è sostenuta dal vicario. Presumibilmente non è stato ancora trovato qualcuno che possa sostituirlo, ma è facile immaginare che da qui a novembre la scelta verrà fatta. «La nostra ambasciata – ha ribadito Moavero – è operativa, lo è rimasta sempre. Anche se per esigenza di sicurezza durante gli scontri abbiamo ridotto il personale. Il nostro rappresentante diplomatico si trova in Italia, non essendo mutata la situazione. Non è una cosa positiva in un momento in cui avremmo la necessità di essere pienamente operativi, ma abbiamo dovuto prenderne atto». Un passo in avanti e uno indietro, dunque, che non vuol dire immobilismo. Dopo il sostegno incassato dagli Usa, infatti, l’Italia punta alla Russia, e lunedì Moavero sarà a Mosca per incontrare il suo omologo Sergei Lavrov. Una visita al centro della quale ci sarà il dossier libico e la presenza del presidente Putin alla conferenza di novembre.
Presenza che, intanto, ha assicurato il feldmaresciallo Haftar, pur ponendo le sue condizioni: il vertice «dovrà porre fine alla presenza di gruppi armati a Tripoli», la «Costituzione dovrà essere modificata prima del referendum», e «le elezioni dovranno essere indette sulla base delle leggi provvisorie», quindi senza attendere i lavori del Parlamento. Il generalissimo ha fretta di arrivare al voto, e questo nonostante Italia e America non siano d’accordo sulla data fissata per le elezioni il 10 dicembre prossimo. Nel frattempo, l’uomo forte della Cirenaica ha comunque fatto sapere che potrebbe decidere di intervenire per riportare l’ordine a Tripoli, visto che gli scontri continuano. Non ultimo quello di ieri, quando sono stati sparati dei razzi verso l’aeroporto e l’azione è stata rivendicata da un gruppo di ribelli meno conosciuto, I Giovani di Tripoli.


GLI APPOGGI
«Inoltre – spiega Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, esperto di Nord Africa – non è ancora chiaro se la Settima brigata (quella dalla quale è partita la guerriglia dei giorni scorsi, ndr) abbia agito in accordo con Haftar. Lui ha evitato dichiarazioni pubbliche in merito all’offensiva, in linea con il profilo di referente politico che si è guadagnato ai tavoli internazionali. Anche se si è espresso piuttosto duramente riguardo alle prossime elezioni, ipotizzate per dicembre. Ha dichiarato che nel caso in cui non si dimostrassero trasparenti il suo esercito sarebbe pronto a ripristinare la legalità con la forza. In seguito, non poche fonti hanno lasciato trapelare come Settima brigata di Tarhuna sia composta da miliziani simpatizzanti per il feldmaresciallo. E questo ha alimentato speculazioni sul fatto che dietro all’azione militare vi fosse proprio il suo supporto».