la Repubblica, 3 ottobre 2018
Le inquietudini di Bottai
Gentile Augias,in questo preoccupante clima civile di intransigente e, per molti, inebriante azione politico- economica, vorrei ricordare agli homines novi nonché ai disadattati di sinistra – quali il sottoscritto – le parole che Giuseppe Bottai ( 1895- 1959, ministro fascista dell’Educazione Nazionale) scrisse nell’aprile 1944 al figlio, per spiegargli la sua esperienza e il modo in cui egli ed altri, tra quelli che come lui avevano avuto nel Ventennio posizioni di rilievo, l’avevano vissuta: «Noi fummo tratti a fidare soprattutto in noi; il che vuol dire sulla nostra volontà, che ci fece ritenere illimitata la nostra potenza creatrice, più che sulla nostra coscienza che ce ne avrebbe mostrati i limiti… e, sdegnosi di quella formula dei padri, secondo la quale la politica è l’arte del possibile, operammo come se la politica fosse l’arte dell’impossibile, del meraviglioso, del miracoloso. Da ciò la tragica sproporzione tra i disegni e le reali possibilità, che ci ha portato a questo collasso spaventoso».
Bruno Ferrarotti, Trino V.
brunoferrarotti52@gmail.com
Lessi anni fa quella lettera bella e disperata in appendice ai” Diari di Bottai” curati da Giordano Bruno Guerri (Rizzoli, 1982 – pag. 526). Bottai fu un uomo inquieto, intelligente, contraddittorio, seguace dei futuristi, volontario nella Grande Guerra, a 27 anni partecipa alla Marcia su Roma, a 28 fonda e dirige la rivista Critica fascista, dal 1935 è Governatore di Roma, partecipa alla campagna d’Africa (Amba Aradam), al rientro viene nominato ministro dell’Educazione Nazionale. Cito sommari dati biografici per rendere la febbrile vivacità intellettuale che lo spinse a volere il fascismo più fascista, se così posso dire, in grado di attrarre anche le migliori intelligenze dell’opposizione che il Duce teneva in galera o mandava in esilio. Da ministro fa predisporre due leggi sul patrimonio storico-artistico e sulle bellezze naturali che resteranno ( con modifiche) nel dopoguerra; alla loro preparazione avevano contribuito due valenti intellettuali d’ascendenza crociana: Cesare Brandi e Giulio Carlo Argan. Il 25 luglio 1943 firma l’Ordine del Giorno che segna la fine politica di Mussolini, scampa alla condanna a morte, s’arruola nella Legione Straniera per combattere contro i tedeschi sarà congedato nel 1948 con il grado di sergente. La sua pecca maggiore fu aver firmato il” Manifesto della Razza” preparatorio alle leggi razziste del 1938. Nel passo della lettera che precede quello citato dal signor Ferrarotti, Bottai scrive: «Questo mancò a me e a molti della mia generazione, il riferimento continuo, profondo, spontaneo non puramente rituale, a Dio». Parole dettate da una rinnovata fede religiosa maturata dopo la crisi. Il fallimento umano e politico Bottai lo attribuisce a un’insufficiente religiosità. Rispetto la sua memoria e colgo l’attualità delle sue parole, ma questa parte dell’analisi non mi pare sufficiente. Furono ben altre e più numerose le mancanze e gli errori suoi e di quella classe dirigente, il Dio dei fascisti non li avrebbe salvati.