la Repubblica, 3 ottobre 2018
Codice penale per bambini contro il bullismo a scuola
TOKYO Aveva dodici anni quando l’hanno preso in tre e gli hanno rotto il polso. I genitori hanno immediatamente riportato l’incidente alla scuola e la scuola ha risposto secca: qui non esiste bullismo. Caso chiuso. Un anno dopo a Soichiro Yamasaki le ossa del braccio erano guarite ma il dolore mentale non si era affatto sanato. A tredici anni si è posto la più banale delle domande: ma se una cosa del genere fosse successa a un adulto come sarebbe finita? Sarebbe finita in tribunale, si è risposto. Da allora Soichiro non ha più smesso di farsele le domande e le risposte le ha trovate nei libri, quei libri galeotti che sono stati proprio la causa del suo essere bullizzato: troppo studioso per la media scarsina di quella classe, troppi bei voti, con tutte quelle letture che faceva era considerato una vera minaccia all’integrità della mediocrità del gruppo, perché come dicono qui, deru kui wa utareru, il chiodo che spunta va ribattuto. Soichiro, che oggi ha 24 anni ed è uno studente del master universitario della Scuola di scienze sociali di Hitotsubashi, ha fatto una cosa nel suo piccolo rivoluzionaria, ha preso quel chiodo che sporgeva e l’ha cacciato fuori del tutto, mettendo in mostra tutti i buchi di un sistema scolastico che ormai non riesce più a tenere a freno l’andazzo mafiosetto dei tanti bulli che nelle scuole del Sol Levante riescono sempre a farla franca. Sochiro ha scritto un semplice libro, ma letteralmente, perché parla di cose da “grandi” però è scritto in un linguaggio per bambini. “Roppo Zensho” (Compendio dei sei codici) è un libro contenente leggi e regolamenti che possono aiutare le vittime dei bulli a conoscere i propri diritti e dunque a difendersi. Un Codice penale per bambini. «Se da bambino allora avessi saputo che esistono dei codici che mi proteggono in quanto vittima di bulli avrei potuto fare qualcosa e non subire che come ho subìto dovendo perfino cambiare scuola per evitare di ritrovarmi il bullo in classe», racconta Soichiro per telefono. Sì perché nelle scuole giapponesi vige una prassi curiosa, si tende a mantenere il totale riserbo sulle faccende di violenza scolastica, ne graverebbe sulla reputazione dell’istituto: nessun genitore vuole iscrivere il proprio figlio a una scuola il cui nome è stato associato a casi di violenza. E allora la politica “sanatoria” degli istituti scolastici è creare un confronto tra il bullo e la vittima che si conclude sempre allo stesso modo: il bullo chiede scusa, amici come prima. Amici come prima? «Per un anno non ho fatto altro che pensare che sarebbe stato meglio morire piuttosto che continuare ad andare a scuola e confrontarmi con quella costante minaccia, neanche oggi mi considero del tutto guarito, ho un’enorme difficoltà a fidarmi della gente». La critica che ti si muove è che ai bimbi non interessano le leggi. «A 12 anni i ragazzi imparano la costituzione giapponese sui libri di testo, penso che non abbiano difficoltà a studiare la legge. Il problema è che esiste una resistenza mentale perché la legge si presenta come qualcosa che non ha nulla a che fare con la loro vita». Perché a scuola non si parla agli studenti dei loro diritti? «Potrei azzardare tre ragioni: 1) gli insegnanti stessi non conoscono la legge; 2) gli insegnanti non credono che mandare un bullo al riformatorio possa migliorarne il comportamento; 3) gli insegnanti, in alcuni casi, usano violenza». Se una vittima di bulli ti chiedesse un consiglio? «Gli chiederei se ne ha parlato con qualcuno e se la risposta è negativa o non mi fido di genitori e amici, gli consiglierei gli uffici di consulenza, un avvocato, la polizia, perfino i media» (nota: in Giappone c’è un suicidio al giorno di giovani per cause associate al bullismo).