Corriere della Sera, 2 ottobre 2018
Il ciclismo in tv come un romanzo
Una domenica, l’ultima di settembre, ricca di sport in tv: le partite di calcio della Serie A, il Gran Premio di Formula 1 a Sochi (Russia), i Mondiali di Innsbruck di ciclismo, la finale World Championship di pallavolo tra Brasile e Polonia e forse dimentichiamo altro.
Cominciamo con il primo paradosso: lo sport che ha avuto la più grande evoluzione televisiva (con un brutto termine si potrebbe dire: lo sport che più di altri si è «televisionizzato») è l’automobilismo: interviste ai protagonisti prima della gara (quasi un circo), telecamere disseminate ovunque e soprattutto on board, commenti da ogni angolo del circuito (Sky Sport). Eppure, visto il dominio preponderante di due sole case automobilistiche, in video è lo sport più noioso che ci sia, salvo incidenti. Quando poi il telecronista dice che «questo è un circuito dove è quasi impossibile superare» (costruiscono circuiti dove è difficile superare?), meglio passare oltre.
In apparenza, il ciclismo è lo sport più povero in termini televisivi: telecamere al seguito, elicottero e telecamere fisse all’arrivo. I non appassionati, poi, credono che l’unico momento interessante siano gli ultimi chilometri. Sbagliano: il ciclismo in tv richiede lo stesso tipo di attenzione che si ha quando si legge un romanzo: ogni pagina è importante e il finale ha senso solo se si sono lette tutte le pagine, come è successo a Innsbruck, dove ha vinto Alejandro Valverde (Eurosport). Solo le riprese dall’elicottero hanno un po’ deluso. Del calcio in tv ci siamo occupati tante volte. La novità vera sono gli straordinari momenti di suspense creati dall’unico video che per ora non possiamo vedere, il Var. È come se la tv avesse aggiunto un elemento nuovo e avvincente prima sconosciuto. Resta la pallavolo, che ha cambiato regolamenti proprio in funzione del video (Rai2). Ultimo paradosso: l’Italia ha perso ma tutti parlano di successo mediatico.