la Repubblica, 2 ottobre 2018
Attento: il cinema ti assorda
Sparatorie assordanti, esplosioni fragorose, ruggiti che fanno vibrare la poltroncina: l’escalation degli effetti sonori nelle sale cinematografiche non conosce battute d’arresto e spinge un numero crescente di medici a indagare le conseguenze di questi eccessi. L’avvento del digitale ha infatti cambiato drasticamente la fruizione dei film, migliorando non solo la qualità del video ma anche quella dell’audio. Che oggi può essere sparato a intensità impensabili fino a venti anni fa.
«Per le vecchie registrazioni analogiche è impossibile superare gli 80- 90 decibel. I suoni ne uscirebbero distorti, la musica e i dialoghi indistinguibili», spiega Carlo Bellieni, neonatologo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese che da anni è impegnato nella prevenzione dell’inquinamento acustico dei bambini. «Il digitale non ha questo limite. Il suono può essere compresso verso l’alto: buona parte dei film oggi raggiungono i 110 decibel. Un’enormità, considerato che la scala dei decibel è logaritmica». Come chiunque abbia avuto modo di sperimentare nel passaggio da un programma televisivo alla pubblicità, l’aumento di rumore è un efficace stratagemma per catturare l’attenzione dello spettatore. Ingannevole magari, ma certamente funziona.
Da un’indagine condotta su 25 film recenti, pubblicata sull’Ear, Nose and Throat Journal dai ricercatori della Drexel University a Filadelfia, è emerso che film d’azione come il quarto capitolo della saga di Die Hard o il primo della saga di Transformers eccedevano regolarmente gli 85 decibel consigliati. Quello sui robot, in particolare, lo faceva per tutta la durata del film, sfiorando in alcune scene persino la soglia di dolore dei 130 decibel. Un livello di rumore superiore a quello della sirena di un’ambulanza che vi sfrecci accanto.
«Caduta la barriera tecnologica che ne arginava gli eccessi, musica ed effetti speciali sono gradualmente aumentati di intensità, trascinando in questa escalation anche i dialoghi, altrimenti non comprensibili nel contesto circostante», spiega il neonatologo. Il bombardamento che subiamo al cinema, sia durante la proiezione sia all’uscita dalla sala, non è priva di effetti, soprattutto tra le fasce di popolazione più sensibili come anziani, bambini e persone con disabilità fisica o mentale. «Se molti lamentano fenomeni transitori, come acufeni o una diminuita sensibilità acustica, gli autistici, per esempio, possono essere colpiti da attacchi d’ansia e reazioni di fuga», osserva Bellieni.
Le conseguenze sul lungo periodo sono più sfuggenti e ancora poco comprese. «Una correlazione tra il singolo film e l’insorgere dei disturbi è irrealistica. Però i rischi esistono. Ciò che ancora manca è una robusta letteratura scientifica a supporto, dato che il fenomeno è relativamente recente», riprende il neonatologo. I fattori di rischio sono numerosi: tipologia di film, innanzi tutto, assiduità alle proiezioni, caratteristiche della sala e ovviamente la sensibilità individuale.L’inquinamento acustico ripetuto, oltre alla diminuzione dell’udito, «provoca in alcune persone disturbi d’ansia, dell’attenzione e del ritmo sonno- veglia, possibili conseguenze cardiovascolari e, nelle categorie a rischio, possibili problemi psicologici», ipotizza Bellieni, che richiama l’attenzione sui limiti di legge per i locali pubblici. Infatti, mentre negli ambienti di lavoro il livello di rumore non può superare per legge gli 80 decibel nelle otto ore – un’intensità equivalente a quella di un asciugacapelli o di una sveglia – per cinema e discoteche esiste solo una raccomandazione che prescrive una media di 95 decibel con picchi massimi di 102.
«Queste raccomandazioni sono però tarate sulla cosiddetta popolazione media invece che sui soggetti più fragili. Così facendo – però – non solo li si espone a rischi per la salute e li si discrimina dai cinema; si giustifica anche una gara al rialzo da cui nessuno trae beneficio: dal neonato in incubatrice all’anziano ipoacusico, tutti noi siamo costantemente esposti a livelli elevatissimi di rumore», ricorda Bellieni. Proprio per questo di restare assordati persino negli ambienti dove ci rifugiamo per distrarci non ce ne è proprio bisogno.