la Repubblica, 2 ottobre 2018
Allarme ritirato e boe rotte, così l’acqua ha travolto Palu
Il bilancio ufficiale delle vittime ha superato abbondantemente quota mille, ma nell’isola indonesiana di Sulawesi si scava ancora sotto interi edifici crollati o scivolati via per effetto della vera e propria liquefazione del suolo, scosso dal terremoto di 7,4 e travolto venerdì da una cascata di onde alte fino a sei metri. Mentre il mondo si domanda perché non abbia funzionato nessuno dei costosi impianti di pre-allarme spesso finanziati dall’estero, si scava freneticamente con le ruspe, e a mano, per allargare le vaste fosse comuni come quella dove sono seppelliti 34 bambini di Sigi che partecipavano al catechismo. Domenica sera sono state liberate alcune donne dalle macerie, ma ci sono racconti raccapriccianti sui superstiti intrappolati che gridavano o spedivano messaggi disperati coi telefonini illuminati inutilmente verso il soffitto aperto per farsi rintracciare senza nessuno a poterli soccorrere. Le cronache descrivono la disperazione di quanti cercavano di fuggire in cerca di un riparo e sentivano le richieste di aiuto dalle macerie dove fino a notte brillavano le torce elettriche dei cellulari. Ma da 3 giorni ormai non giunge nessuna voce e nessuna luce.
L’Anello di Fuoco del Pacifico è una porta dell’inferno che si è aperta innumerevoli volte mostrando prima sempre gli stessi segnali, singulti inavvertibili via via più intensi captati solo da speciali macchinari. Furono installati con milioni di spesa all’indomani dell’olocausto di 250mila persone nello tsunamidel 2004 e ci sono al largo di Sulawesi 22 boe dotate di sensori di allarme per i maremoti, ma nessuna ha funzionato.
Per l’anniversario della tragedia nel 2008, l’allora presidente indonesiano Bambang Yudhoyono partecipò nel nord dell’isola a un allarme simulato con 5 mila persone. Ma due anni dopo le stesse boe si incepparono e 272 persone morirono nelle isole Mentawai. Lo stesso nel 2016, il malfunzionamento tecnico impedì di prevedere gli effetti di un violento terremoto al largo della costa di Sumatra.
Un portavoce dell’Agenzia nazionale per le calamità (Bnpb), Sutopo Nugroho, ha ammesso che il sistema di allarme tsunami non è operativo da 6 anni per la scarsità di fondi della manutenzione, ridotti di anno in anno. Altri esperti hanno spiegato che diversi uffici e ministeri dovevano decidere una spesa di meno di 70mila euro per completare il sistema di sensori marini rimpallandosi il compito finché il peggio non è accaduto.
Ma la sofisticata dotazione di boe e sensori a onde sonore, di cavi a fibre ottiche capaci di trasmettere segnali ai satelliti diventano inutili quando sulla terra, come è successo nella disastrata Palu, si interrompe l’energia elettrica alla prima scossa. Lungo la costa spazzata via non c’erano neanche sirene d’allarme né forse una torretta d’avvistamento.
Eppure la mappatura dei terremoti del 2017 aveva rivelato che il numero di faglie attive in tutto l’Arcipelago del Pacifico è aumentato da 81 a 295 negli ultimi otto anni. Le coste di Sulawesi e della miriade di isole che le stanno attorno sono in gran parte lunghe distese di sabbia e roccia vulcanica divenute mèta di un turismo economico in cerca di pace grazie alla natura dei luoghi e degli abitanti. Ma con i visitatori sono aumentate le costruzioni tirate su in fretta e con materiali scadenti anche a più piani, come quelle venute giù per prime tra Palu e il distretto di Donggala o nelle aree di Paris Mountong e North Mamuju, dove le scosse di assestamento sono già state 215 e i soccorsi faticano ad arrivare nonostante l’apertura delle frontiere ai generosi aiuti internazionali anche dall’Ue.
Una donna di Sigi a Sulawesi Centrale dove sono morti i bimbi nella chiesa è stata salvata dopo essere rimasta intrappolata per oltre 48 ore nelle rovine della sua casa, una di quelle letteralmente slittate lontano con le fondamenta ridotte dalla melma a castelli di sabbia. È stata una dei pochi fortunati, come dimostrano gli oltre mille corpi che saranno interrati dopo una fotografia e la registrazione del numero di serie in attesa del riconoscimento dei parenti.
Forse chi è ancora in cerca dei propri cari, magari trascinati nel mare, ha avuto modo di leggere o di sapere che molti potevano salvarsi se alle 6,36 pomeridiane l’agenzia nazionale di Meteorologia e Geofisica non avesse fatto rientrare l’allarme tsunami dopo averlo lanciato mezz’ora prima con previsioni quasi esatte di onde fino a 3 metri.
Secondo gli esperti è solo una delle incongruenze del non aver compreso le lezioni del passato. Di che cosa stiamo parlando Il 28 settembre l’isola indonesiana di Sulawesi è stata colpita da due scosse di terremoto di magnitudo 6.1 e 7.5. La seconda aveva spinto le autorità a lanciare un allarme tsunami, poi ritirato. Il maremoto si è invece verificato, e onde alte fino a sei metri hanno colpito soprattutto la città di Palu, capoluogo della regione centrale dell’isola. Per ora le vittime accertate sono 1.203. I soccorsi, complicati dai problemi alla rete elettrica di comunicazione, sono ancora in corso.