La Stampa, 2 ottobre 2018
La ferita dei giovani inattivi
In Italia è occupazione record nel mese di agosto. Ma c’è poco da gioire. Il tasso di occupazione del 59% è tra i più bassi d’Europa. Questo livello è stato raggiunto soprattutto perché è cresciuto il tasso di occupazione della popolazione ultracinquantenne di 14 punti dal 2007 grazie all’aumento dell’età pensionabile. Il tasso di occupazione dei 25-34enni è invece ancora 8 punti sotto il 2007, al 62%, e dopo il crollo verificatosi fino al 2013 cresce di soli 3.3 punti percentuali in 5 anni. Nell’ultimo mese, gli occupati 25-34enni sono aumentati di un misero 0,2, e sono al di sotto dei livelli di maggio e giugno. E anche sul fronte della disoccupazione non c’è di che vantarsi: metà della diminuzione registrata è andata ad incrementare l’inattività, pure nel caso dei giovani-adulti. L’inattività per loro passa dal 23% del 2007 al 27%. Il ritrarsi dei giovani dal mercato del lavoro va visto con preoccupazione e combattuto. Quella dai 25 a 34 anni è una fase della vita bellissima, si inseguono sogni, si rincorrono desideri, si ricerca l’autonomia. Ma oggi tutto ciò è più difficile, perché sono i giovani ad aver perso di più in termini di occupazione, sia ragazzi che ragazze, qualunque sia il loro titolo di studio e la regione di residenza.
Certo le donne hanno perso meno degli uomini, i giovani del Nord meno di quelli del Sud e i laureati meno degli altri, ma il colpo subito è stato trasversale. Il numero di occupati giovani si è ridotto di più nell’industria, nel commercio, e anche nella Pubblica amministrazione, mentre è aumentata precarietà e part-time involontario. Tutto ciò proprio mentre il nostro Paese ha bisogno di giovani competenti e innovativi che possano valorizzare al meglio il proprio capitale umano nel mondo del lavoro. I 25-34enni sono sempre di meno, nel 1993 erano quasi 9 milioni, ora non arrivano a 7 milioni, il loro peso elettorale è molto diminuito. Allora il 34% viveva con i genitori, ora il 45%; in Francia, Germania e Regno Unito il 15%. Ingabbiati nella famiglia di origine subiscono la crisi e con fatica risalgono la china. Ma l’Italia ha bisogno di loro e deve fare qualcosa per loro. Dobbiamo incentivare i giovani ad attivarsi, a mettersi in gioco, dobbiamo aiutarli nella creazione di impresa, ridando fiducia a chi non ce l’ha più, perché possano essere realmente quegli agenti innovatori, nel pubblico e nel privato, di cui il nostro Paese ha enormemente bisogno. Bisogna dare una risposta non solo in chiave anti povertà alle difficoltà che incontrano i figli delle classi medie impoverite dalla crisi, e non solo, costretti a vivere troppo a lungo nella famiglia di origine oppure a emigrare. Bisogna dotarsi di una strategia di sviluppo dell’occupazione giovanile. Siamo già molto in ritardo. I ragazzi hanno diritto a un lavoro, devono attivarsi ed essere accompagnati in questo percorso con misure adeguate. La politica ha il dovere di garantire la fruizione di questo diritto, e con urgenza, investendo in formazione, per prepararli alle nuove sfide nel mondo del lavoro, valorizzando le competenze di ognuno, dando fiducia e incentivando il lavoro. C’è bisogno di un vero e proprio scatto, non dobbiamo adattarci alla sfiducia. Solo se sapremo reagire, raddrizzando la situazione dei giovani-adulti del nostro Paese potremo ripristinare la normalità del vivere, fatta di quei bei passaggi fondamentali della vita, che conducono all’autonomia, alla costituzione di una propria famiglia e ad avere i figli che si desiderano.