La Stampa, 2 ottobre 2018
Arriva l’app degli architetti per progettare la casa
Accusati di concorrenza sleale e diffamazione in Italia, ritenuti rivoluzionari innovatori negli Stati Uniti. Per l’Ordine degli Architetti, la piattaforma GoPillar cela «il cinico sfruttamento di professionisti disperati che pagano una mediazione con la vaga speranza di un’opportunità di lavoro, ingannando il consumatore illuso da una progettazione low cost». Alessandro Rossi, fondatore della start up con Filippo e Federico Schiano di Pepe, sostiene invece che è l’Ordine «a esercitare un monopolio sulla professione di architetto, ancora prosperosa per una manciata di star internazionali e grandi studi».
Lacrime e sangue per i giovani professionisti «schiacciati tra concorsi pubblici già decisi» e un mercato privato che non premia chi ha buone idee, ma si regge su «conoscenze e clientele». Ma qual è la cinica rivoluzione di GoPillar? Chi vuole ristrutturare casa o un negozio, può lanciare una gara online tra gli oltre 60mila architetti e designer iscritti. Il vantaggio per il cliente è ricevere diversi progetti, premiando - e di conseguenza, pagando - solo i migliori. A chi deve ristrutturare costa circa 700 euro, l’app guadagna su una commissione e la vendita di altri servizi di progettazione. «Lavoro gratis» per l’Ordine; «un’occasione per mettersi in mostra e conquistare nuova clientela» per gli startupper.
Tornano così a scontrarsi due visioni inconciliabili di una professione da tempo in crisi, con un reddito medio di circa 19mila euro e il tasso di occupazione che scivola sotto al 60%. Il primo round tra Ordine e GoPillar inizia nel 2013 con il lancio dell’app - allora CoContest - e finisce male per i giovani startupper romani. Dopo la sospensione dall’Albo, un’interrogazione parlamentare e una denuncia all’Antitrust i tre volano nella Silicon Valley. Che li accoglie a braccia aperte. Negli Usa la piattaforma cresce, arrivano riconoscimenti e investimenti. Ecco che i tre startupper sono pronti a ripartire, ora decisi a sfondare anche in patria. «Se vuoi ristrutturare casa, prima affidi l’incarico a un architetto, poi lui ti fa un progetto - spiega Rossi -. Lo paghi sulla fiducia, senza sapere come lavora. Da noi scegli quello che ti piace. Se un architetto vince uno, due contest, vuol dire che è bravo. Se a nessuno piacciono le tue idee, forse non sei troppo portato».
«La premessa è che il mondo offline è vecchio, caro e lento. Ma l’architettura vera si fa ancora negli studi, non sul pc - ribatte Marco Aimetti, architetto e presidente dell’Ordine piemontese - Bene i portali online, ma senza l’ambizione di sostituire gli studi. Dal web possono arrivare idee, niente di più». «È la legge italiana che obbliga i clienti a rivolgersi a un architetto anche per tirare giù mezzo muretto - ribatte Rossi. L’app porta lavoro anche offline. Altro paradosso, in Italia nessuno ti paga per partecipare a un concorso, nemmeno la pubblica amministrazione». Vero. Il comune siciliano di Solarino, per esempio, ha messo al bando - poi ritirato - la progettazione di due scuole «al prezzo simbolico di un euro». E non è un caso isolato.
Concorsi pubblici a 1 euro
Su un solo punto startupper e Ordine concordano: nessuno in Italia è disposto a spendere per il lavoro intellettuale. Per i primi la soluzione è dare a tutti la possibilità di partecipare, premiando i più bravi. Per i secondi il futuro sono i concorsi a due livelli, alla francese: al primo si partecipa con un’idea, se passi al secondo presenti un progetto. Comunque pagati, anche se non si vince. Peccato che i concorsi per architetti non siano previsti per legge, e non li vuole fare nessuno. Tanto che il Lazio tentò addirittura di convincere i committenti con il bonus metratura. Un flop. E nei gruppi Fb dei professionisti serpeggia il malumore, pure contro Renzo Piano. Rafforzerebbe la troppo diffusa convinzione che «le prestazioni professionali degli architetti non si pagano, ma si regalano».