il Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2018
L’ultima scoperta del Cern: il maschilismo della scienza
Sono passati sette anni da quell’indimenticabile comunicato con cui Mariastella Gelmini esultava per l’esperimento con i neutrini e annunciava entusiasta: “L’Italia ha contribuito alla costruzione del tunnel tra il Cern al Gran Sasso!”. Era davvero convinta che superato il tunnel alla velocità della luce, i neutrini, all’altezza di Cocullo, si fossero fermati all’autogrill a farsi una Rustichella. Ci avevamo messo un po’, noi italiani, a recuperare la stima del Cern, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, ma siamo riusciti immancabilmente a combinarne un’altra. Questa volta il protagonista della nobile figura è Alessandro Strumia, ricercatore e professore di Fisica all’Università di Pisa, che mercoledì scorso, in occasione di una conferenza a Zurigo presso la sede del Cern, ha pensato bene di chiedere lo spazio (non previsto) per un intervento.
Fin qui tutto normale se non fosse che la conferenza era sulla fisica ma anche e soprattutto sulla questione tutta femminile delle pari opportunità (un tema molto sentito nell’ambito scientifico) e che quel genio impavido di Strumia ha illustrato una teoria secondo la quale i discriminati, nell’ambito scientifico, sono gli uomini.
Inutile dire che finito il suo intervento numerose ricercatrici presenti hanno cominciato a proporre un nuovo esperimento denominato “la scissione di Strumia” (si scherza, forse) e a twittare il loro sdegno, per cui il Cern si è dissociato pubblicamente dai contenuti delle sue slide ritenuti “offensivi”, annunciando di aver rimosso tutto dagli archivi. Slide che ovviamente erano già migrate a una velocità che ha doppiato quella dei neutrini, su siti e caselle di posta elettronica varie, compresa la mia. E che sono un discreto mappazzone di vignette, grafici, considerazioni discutibili e altre più ragionevoli più la stoccata personale a una ricercatrice, che paiono scritte da una ragazzetto di 25 anni a cui una collega più sveglia ha soffiato il posto, più che da un navigato ricercatore di 48.
La teoria di Strumia è che nell’ambito scientifico le donne ottengano meno assunzioni e risultati non perché discriminate, non perché c’è una cultura maschilista, non perché ci sia la supremazia del maschio bianco, ma perché le donne, in queste discipline, sono banalmente meno predisposte e abili. Afferma che perfino nei bambini, prima che ci sia un qualunque condizionamento ambientale, è evidente che i maschi sono più portati per le materie scientifiche delle bambine. Che le donne sono più numerose in lavori come educatrice e psicologa perché amano lavorare con le persone, gli uomini preferiscono lavorare con le cose.
Ci sono varie tabelle a supporto delle sue teorie che, vi dirò, lette così, sono perfino convincenti. Poi però siccome sono una donna e quindi come tale inabile all’approccio scientifico, mi sono domandata con quale criterio Strumia abbia fatto le sue valutazioni. Non mi risulta che si sia mai occupato di gender studies, e infatti il suo approccio alla materia è quello freddo e tecnico della “bibliometria”, ovvero: dimmi quante volte una tua pubblicazione è stata citata da altri ricercatori in articoli o produzioni e ti dirò quanto vali (devo semplificare, mi perdonerete, ma almeno questo, me lo riconoscerete, è un difetto poco femminile).
Strumia, dunque, utilizza il metodo del bilancino per parlare di pari opportunità e se vi fosse qualche dubbio sul fatto che ritenga quello delle citazioni l’unico criterio di valutazione possibile nel mondo del lavoro in ambito scientifico, scomoda anche l’aneddotica personale, con toni piccati. Approfittando di un palco, cita una collega, tale Anna Ceresole, affermando che lei ha avuto una promozione al posto suo nonostante le 3.200 citazioni della Ceresole e le sue 30.000. Addirittura, afferma, il commissario incaricato di decidere chi promuovere era una donna e aveva ancor meno citazioni della Ceresole. Morale, secondo lui, i discriminati sono gli uomini. Quindi, secondo Strumia, l’approccio bibliometrico è l’unico parametro possibile in un mestiere in cui si lavora con “le cose” e non con le persone. Chissà se avrà contato anche le citazioni di Fabiola Gianotti, direttore donna del Cern dal 2014, e se ritiene che lei abbia scippato il posto a un collega maschio più citato e quindi automaticamente più meritevole.
Bisognerebbe preparare una serie di slide, per Strumia, in cui gli si spiega come il talento e le ambizioni femminili in settori storicamente maschili come quello scientifico, siano ancora oggi scoraggiati da pregiudizi e da luoghi di lavoro nonché di studio in cui la donna è vissuta come l’intruso, quando va bene, come quella che deve dimostrare il doppio del suo valore rispetto agli uomini quando va male, quella a cui fare la battuta sessista in ambiti camerateschi quando va malissimo.
Devo quindi dare una brutta notizia a Strumia: un ricercatore che non comprende quanto la sopravvivenza di stereotipi e le dinamiche socioculturali siano fondamentali in molti ambiti lavorativi, è forse un ottimo scienziato, ma il suo talento al microscopio è accompagnato da una totale inettitudine alla comprensione del macroscopico. E se la direttrice del Cern Gianotti ha contribuito alla prova dell’esistenza della particella di Dio, il caro Strumia ha contribuito ancora una volta, casomai ce ne fosse stato bisogno, alla prova dell’esistenza di una mentalità maschilista resistente a qualsiasi esperimento di laboratorio.