Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  ottobre 02 Martedì calendario

La Catalogna cresce (ancora) più della Spagna

«Vogliamo la Catalogna Repubblica indipendente e vogliamo il riconoscimento internazionale». A un anno dal referendum sulla secessione che ha segnato la rottura definitiva tra Barcellona e Madrid, l’ex governatore catalano, Carles Puigdemont, rilancia la sfida, da Bruxelles, dove è fuggito per evitare il carcere, inseguito dall’accusa di ribellione. Il suo tentativo di «portare la questione catalana al centro dell’Europa» non ha tuttavia portato risultati: il fronte indipendentista appare diviso e non è mai riuscito a trovare appoggi internazionali. Mentre l’economia catalana e quella spagnola hanno superato la crisi politica senza troppi danni: «Hanno resistito alle crescenti tensioni politiche – dice Angel Talavera, di Oxford Economics – soffrendo solo un rallentamento molto graduale, registrato del resto anche nelle altre economie europee, e dovrebbero riuscire a concludere un altro anno di crescita robusta».
Si è dimostrata infondata la paura che l’instabilità politica potesse colpire duramente un’economia come quella catalana da 220 miliardi di euro (pari a un quinto del Pil nazionale) fino a minacciare il contagio in Spagna e in Europa: il massimo delle tensioni ha coinciso con un momentaneo calo dei consumi delle famiglie e nel turismo (dovuto anche agli attacchi terroristici sulla Rambla dell’agosto del 2017), ma l’impatto è stato comunque moderato e di breve durata: il Pil catalano è cresciuto del 3,3% nel 2017 e si è mantenuto sul +0,7% congiunturale anche nei primi due trimestri del 2018. Superando sempre la Spagna.
Un anno fa il 42% dei catalani riuscì a votare, sfidando le cariche violente della polizia, e scelse la secessione. Il referendum, illegale per la legge spagnola, bastò ai leader indipendentisti per proclamare la Repubblica catalana e provocare la reazione implacabile della giustizia spagnola e del governo di Madrid allora guidato dal conservatore Mariano Rajoy che commissariò la regione, azzerando l’autonomia catalana. Nel fermare la secessione furono tuttavia determinanti le imprese che a migliaia – anche tra le maggiori, come da Sabadell, CaixaBank, Gas Natural o Abertis – decisero di trasferire la sede legale fuori dai confini della regione. Il governo Rajoy arrivò a stimare in un miliardo di euro i costi della dichiarazione di indipendenza in Catalogna. Il Banco de Espana prese in considerazione un danno di 30 miliardi solo se lo scontro si fosse mantenuto molto caldo per i successivi due anni.
L’economia catalana si è invece ripresa rapidamente e «anche i mercati finanziari – continua Talavera – hanno largamente ignorato le mosse dei nazionalisti catalani: una crisi politica, con implicazioni rischiose per l’intera Europa, è stata così ridotta a una questione interna, tutta spagnola. Inoltre, gli indici di fiducia e le previsioni di investimento mostrano che le imprese non hanno intenzione di abbandonare la Catalogna».
Resta da trovare una soluzione alla crisi politica. Da Madrid il premier socialista Pedro Sanchez si è dimostrato molto più morbido di Rajoy e ha proposto a Barcellona di votare un nuovo Statuto regionale con maggiore autonomia, opponendosi però a ogni deriva secessionista. A Barcellona, il nuovo presidente della Generalitat, Quim Torra, un fedelissimo di Puigdemont tra i conservatori e nazionalisti catalani, ha insistito invece anche ieri sulla secessione: «Non dobbiamo arrenderci, andate avanti», ha detto rivolgendosi alle decine di migliaia di cittadini scesi nelle piazze con le bandiere rosse e gialle. Più cauto Oriol Junqueras, il leader della Sinistra repubblicana, ed ex numero due della Generalitat, in carcere da un anno in attesa di giudizio: «Sanchez deve dimostrare il suo valore, non vedo altra soluzione che un referendum concordato con Madrid», ha detto.
«Sembra che i leader secessionisti non abbiano una strategia di breve e nemmeno di lungo periodo. Stanno soffrendo ancora i postumi della sbornia del referendum», dice Oriol Bartomeus, politologo e docente di Scienze politiche all’Università autonoma di Barcellona. «Ma una condanna per i leader catalani come Junqueras potrebbe dare nuova e insperata forza e nuovo consenso alla causa indipendentista».
A un anno dal referendum, la crisi istituzionale senza precedenti tra Barcellona e Madrid si è trasformata in uno scontro a bassa intensità che forse durerà a lungo e potrà avere ulteriori fiammate, ma che resterà circoscritto alla politica spagnola, e difficilmente avrà significative conseguenze sull’economia.