La Stampa, 2 ottobre 2018
Conviene parlare davanti ai neonati
Rimanere in silenzio, o tutt’al più parlare sottovoce, è un consiglio sensato, quando un neonato dorme. Mentre è sveglio, invece, conviene farsi sentire, se si è genitori. Il piccolo non risponderà, ma nel tempo vi ringrazierà.
Sì, perché più i bambini sono esposti alle conversazioni e maggiore è il guadagno in termini di abilità: linguistiche e cognitive. Il beneficio risulta misurabile anche nel tempo, come documentato da un team Usa in uno studio su «Pediatrics». Almeno fino ai 14 anni i bambini cresciuti in famiglie in cui si dialoga costantemente anche durante la loro infanzia presentano valori di quoziente intellettivo più alti rispetto ai coetanei cresciuti in contesti più «silenziosi». Idem per la comprensione e l’ampiezza del vocabolario.
Il momento della ricettività massima è tra 18 e 24 mesi: i ricercatori sono giunti a queste conclusioni dopo aver fatto ascoltare una serie di discorsi registrati a 146 neonati e bambini. I dati sono stati raccolti dividendo i piccoli in tre gruppi, di età diverse: entro l’anno e mezzo di vita, tra i 18 e i 24 mesi e dopo i due anni. Dopodiché sono stati sottoposti a test linguistici e cognitivi per un lustro, tra i 9 e i 14 anni. Si è così concluso che «le variazioni più ampie del quoziente intellettivo sono state rilevate tra chi era stato esposto al linguaggio dei genitori nel periodo tra l’anno e mezzo e i due anni».
Gli studiosi, coordinati da Betty Wohr, direttore del programma di «follow-up» neonatale al Women & Infants Hospital del Rhode Island, Usa, suggeriscono quindi «un intervento il più possibile precoce, da parte di genitori e insegnanti di nido, per creare un ambiente linguistico favorevole alla maturazione dei bambini». Un processo che, aveva svelato una ricerca del 2013 su «Pnas», sembra avere inizio già nel grembo materno: la comprensione delle sillabe sarebbe un meccanismo innato e non appreso dopo la nascita.